Rita Ciampichetti – I frutti dimenticati: le sorbole

2023/11/10, Vergato – Un’altra pagina che arriva al momento giusto quando ormai il tempo volge al brutto. Segno dell’avvicinarsi dell’inverno. Tornano alla mente i frutti che non si sono fatti dimenticare, quando riempivano cantine fresche con l’odore agro di muffa, altri collocati nei solai assieme ai bachetti e ai grappoli d’uva ad appassire. Ancora lei, Rita Ciampichetti oggi parla di un frutto che non si è fatto dimenticare, almeno dai ragazzi che sopra le coperte al mattino trovavano la brina.

I frutti dimenticati: le sorbole

Se un attore o un comico che proviene da un’altra regione italiana, vuole accentuare la tipica parlata di un personaggio bolognese o comunque emiliano che sta interpretando, non può fare a meno di utilizzare l’interiezione “sorbole” calcando sulla “esse” tanto che spesso viene pronunciata “sciorbole”.

Assieme all’altra esclamazione “Sócc’mel” il cui  lungo utilizzo nel tempo  ci ha fatto un po’ dimenticare la sua origine volgare, rappresenta a tutti gli effetti il tipico intercalare del nostro simpatico dialetto bolognese per esprimere una emozione, uno stupore, a volte anche un dolore e per dare loro un rafforzativo sono spesso precedute da “mo”.

“Mo sorbole!”  chiama in causa uno dei tanti frutti dimenticati della nostra campagna prodotti dall’albero del sorbo una pianta rustica molto resistente al freddo ed ai diversi parassiti appartenente alla  famiglia delle Rosacee.

I suoi frutti, appunto le sorbole o sorbe, sono simili a piccole pere o meline raggruppate in mazzetti, sono di colore giallo rossastro con dei puntini.

Come le nespole e i cachi non vanno però consumate appena raccolte perché “legano”, ma conservate nelle cassette meglio se adagiate sopra un letto di paglia. Con il passere dei giorni maturano, la polpa diventa di colore bruno, molle ed acquistano dolcezza anche se conservano un gusto leggermene acidulo, ma aromatico e molto gradevole.

Lo sapevate che il processo per favorire la maturazione di quei frutti che non sono commestibili mangiati così come vengono raccolti dall’albero, come appunto i cachi, le nespole e le sorbole, si chiama “ammezzimento”?

“Con il tempo e la paglia maturano le nespole!” dicevano i nostri nonni e io ricordo ancora la cassetta piena di paglia con le nespole o le sorbole sopra la credenza della cucina di mia suocera Rosita. Spesso ci sbirciavo dentro, le tastavo e quando ne sentivo una sufficientemente tenera, la mangiavo e poi  facevo fatica a non ridere quando mio suocero Gino prendeva giù la cassetta per controllare e diceva: “Rosa mo’ cum’èla c’an maduren brîṡa? Che  stranàzza… inciònna sorbla o nespla in pans!”

Questi piccoli frutti in passato venivano molto apprezzati, non per niente le prime notizie della pianta del sorbo risalgono al 400 a.C. in Grecia e successivamente i Romani lo fecero conoscere all’interno del loro vasto impero.

Nella mitologia celto-germanica il sorbo, la quercia, il frassino ed il  pino erano ritenuti alberi che possedevano un potere magico ed in particolare il sorbo era considerato un ponte tra il mondo umano e quello divino.

Antiche leggende raccontano che il fortunato che ne possiede un esemplare vicino a casa gode di magica protezione perché   è una pianta che scaccia gli spiriti maligni e le negatività, per questo in passato il sorbo veniva messo a dimora nei giardini anche perché esteticamente molto bello sia per le foglie, per i fiori e per i bei frutti che in autunno assumono un vivace colore rosso arancio. 

Il poeta Virgilio nelle Georgiche (III, 380), racconta che alcuni popoli dell’Europa dell’Est dopo le battute di caccia al cervo, si riunivano in grotte dove venivano accesi grandi falò e festeggiavano bevendo un liquido prodotto dall’orzo fermentato e acide sorbe.

Lo stesso Dante Alighieri nel Canto dell’Inferno XV, 65-65 cita la sorbola come frutto aspro, in contrapposizione al fico, che ha frutti dolci.

«ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi

si disconvien fruttare al dolce fico.»

Nelle nostre zone le sorbole, nonostante la loro non particolare dolcezza dato che il frutto maturo ha un contenuto di zuccheri di circa il 20%, erano comunque apprezzate perché assieme alle nespole e ai cachi garantivano la possibilità  di avere frutta alternativa alle mele e alle pere  durante il periodo invernale e natalizio.

Venivano perciò raccolte sottraendole alla voracità degli uccelli che ne sono molto ghiotti e conservate con cura, oltre a gustarle come semplice frutto venivano e possono essere utilizzate anche per la preparazione di confetture, liquori, sidro e salse agrodolci ideali per accompagnare la carne o i formaggi.

Quando leggo le proprietà di certi doni della Natura siano essi frutti, fiori o piante, mi stupisco sempre di come essa sia generosa con il mondo animale provvedendo in ogni stagione a mettere a disposizione tutte le sostanze benefiche necessarie per garantire il benessere fisico dei consumatori contro i malesseri più comuni in quel determinato periodo dell’anno.

Anche la sorbola come la giuggiola ed altri frutti del tardo autunno è ricca di vitamina C e il suo sapore acidulo è dato dal  rilevante contenuto di acido malico, sono inoltre fonte di potassio, calcio, zinco e magnesio.

Uno degli zuccheri presenti in questo frutto è il sorbitolo, non so se prende il nome proprio dal sorbo, comunque ha particolari caratteristiche nutrizionali e viene utilizzato nelle diete dei diabetici e nell’industria alimentare e per ottenere altre sostanze.

 In fitoterapia le sorbole sono utilizzate per le loro proprietà astringenti e diuretiche. La polpa ha una elevata proprietà detergente, rinfrescante e tonificante e quindi la rendono ideale per un trattamento di bellezza per la pelle.

Sembra che l’etimologia del nome latino sorbus deriverebbe d sorbeo, ossia bere, assorbire, per il potere astringente delle sorbole in caso di diarrea conosciuto fin dai tempi di Galeno, quindi l’unica contro indicazione al suo consumo è per quelli che soffrono di stipsi.

Anche le foglie del sorbo possiedono elevate proprietà lenitive. In passato venivano bollite ed applicate sui dolorosi geloni che fortunatamente oggi grazie agli indumenti pesanti, il riscaldamento ed il cambiamento climatico sembra non esistano più.

Purtroppo anche questo frutto è stato destinato alla sparizione, l’industria agroalimentare preferisce proporci prodotti economicamente più redditizi, magari provenienti da altri continenti, ma vuoi mettere il fascino esotico ispirato del mango, della papaja, dell’avocado e dei litchi messo a confronto con quello di questi modesti frutti?

Sono però convinta che abbiamo il dovere di ritornare a valorizzare i frutti dimenticati del nostro territorio cercando di conservarne ancora la coltivazione e la produzione a tutela della biodiversità e per mantenere vive le tradizioni, i modi di vivere, i sapori legati alla cultura del nostro Appennino per le generazioni future.

Per concludere ecco per voi signore e non solo in esclusiva una ricetta non di confetture o liquori, ma di bellezza dal risultato veramente sorprendente.

Maschera di bellezza per il viso “Frutti d’Autunno”

Ingredienti:

Mezzo cucchiaino di polpa di una sorbola matura

Un cucchiaino di polpa di caco

Una fettina di mela.. ovviamente Rosa romana.

Grattugiare la fettina di mela sbucciata e mettere la polpa in una ciotola.

Aggiungere la polpa di caco e di sorbola e amalgamare bene.

Applicare la purea sul viso e lasciarla in posa per circa 10 minuti.

Sciacquare con abbondante acqua.

La sorbola lascerà sul viso un piacevole profumo e la pelle morbida e vellutata.

Rita Ciampichetti, 2023