Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.20: Fuori, vicino al letamaio, c’è un gabbiotto con un’asse che ha un buco in mezzo…
2024/10/2, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 20 – La bela Gigogin
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Capitolo 20 – La bela Gigogin
La Iolanda e la Cesira, essendo le ultime ad entrare in casa, oltre a fare i commenti su quella strana scatola poterono anche osservare meglio la giovane donna e constatare che effettivamente era affetta da una zoppia abbastanza evidente.
Si ritrovarono tutti in cucina, la Cosetta intanto si era avvicinata alla culla dove stava dormendo Diego e disse: “Che bel cit! Sembra un angelo, neh?”
Si misero a sedere attorno al tavolo e Adolfo riempì il bicchiere di Romagnoli che lo tracannò d’un fiato perché doveva ritornare di volata giù in paese per portare un cliente a Sasso Marconi.
Mentre gli uomini parlavano fra di loro, l’Elide guardò la Cosetta e gentilmente le disse: “Vorrai svestirti e mettere a posto la tua roba, vieni che ti accompagno su nella vostra camera e ti faccio vedere, poi ceniamo”.
Salirono la scala di legno che portava nelle camere, davanti l’Elide con la valigia e la borsa seguita dalla Cosetta con la scatola tonda.
“Questa è la nostra camera che vi abbiamo messo a disposizione”, le disse l’Elide aprendo la porta, ma vedendo che la cognata, nonostante la pelliccia, per un attimo era rabbrividita per il gran freddo che regnava nella stanza rispetto alla calda cucina, si affrettò ad aggiungere: “Sopra al letto c’è la coperta imbottita pesante, ma stasera prima che vi coricate vi metterò anche il prete con la suora e vedrai che bel calduccio troverete sotto le lenzuola”.
La Cosetta fece sì con la testa, ma si vedeva che aveva compreso poco e guardandosi attorno chiese timidamente: “La stanza da bagno dov’è?”
L’Elide sospirando la guardò e chiese: “Ma non ti ha detto niente Carlino?”
“Sì, che abitavate in una casa di campagna molto grande…dove si vive con semplicità!” le rispose la giovane sposa.
L’Elide alzò gli occhi al cielo e pazientemente spiegò: “E’ vero, è una casa di campagna e quassù le case di campagna purtroppo non hanno la stanza da bagno. Comprendo bene il tuo disagio perché prima di sposarmi ero a servizio in una villa a Bologna dove di stanze di bagno ce n’erano ben tre, ma poi ci si abitua, sei fortunata che abbiamo portato da poco la luce anche nelle stanze se no dovevi abituarti anche a lampade e candele!”
Stupefatta la Cosetta la guardò negli occhi e domandò con apprensione: “Boja Fàuss! Ma se avete bisogno di andare in bagno come fate?”
“Fuori, vicino al letamaio, c’è un gabbiotto fatto di canne e frasche con un’asse che ha un buco in mezzo, però non viene molto usato, gli uomini per i loro bisogni preferiscono andare fuori nei campi o nella macchia, se no c’è anche la stalla dove potersi ritirare. Di notte e specialmente d’inverno che è molto freddo c’è il vaso da notte che alla mattina si svuota e si lava” e così dicendo l’Elide aprì lo sportello del comodino dove faceva capolino un bel vaso panciuto di smalto bianco profilato in blu.
Evidentemente sempre più a disagio la cognata le chiese: “…. e per lavarsi… per fare il bagno?”
Pazientemente l’Elide le indicò la toeletta che era appoggiata contro la parete, due ripiani in marmo con sopra uno specchio, un cerchio in ferro a scomparsa con incastrato un catino in smalto con disegni verdi e sotto una grande brocca sempre dello stesso smalto, attaccati di fianco ripiegati due grandi asciugamani di ruvida tela arricchiti da un bordo di frange intrecciate tra di loro.
“Domani mattina ti porterò su l’acqua calda, in campagna ci si lava così.. dentro al catino, se dobbiamo fare il bagno mettiamo la tinozza del bucato giù in cucina davanti al camino acceso, d’estate è più facile lavarsi…c’è il pozzo, l’abbeveratoio ed anche il torrente! Però non dirmi che hai bisogno di fare un bagno …. state qui solo il giorno della Vigilia e quello di Natale! Ora ti lascio disfare le valigie, ti busso su quando la cena è in tavola, coraggio non è così terribile…per qualsiasi bisogno chiedi a me” e così dicendo ridiscese in cucina per apparecchiare.
La Cesira stava rimestando vigorosamente una polenta di castagne che sobbolliva nel paiolo di rame appeso nella catena del camino, aveva il ginocchio appoggiato su una tegola rovesciata per dare più energia alla mescolata.
L’Elide lanciando una occhiata espressiva a Carlino disse: “Forse è meglio che vai di sopra anche tu a cambiarti i vestiti da viaggio, vi chiamo quando è pronto in tavola!”
Carlino la capì al volo e si precipitò di sopra e dopo qualche minuti si iniziarono a sentire le voci dei due sposi che discutevano animatamente.
La Cesira scossò la testa, levò il paiolo dal fuoco e vuotò il contenuto di una polenta dal caldo color nocciola sul tagliere, aspettò qualche minuto che il vapore si diradasse e poi con un filo di cotone iniziò a tagliare le fette, l’avrebbero mangiata assieme alla ricotta e alla panna che si era formata in un alto strato sulla superficie del latte munto della mattina.
L’Elide con il manico della scopa picchiò nel soffitto e dopo qualche minuto anche Carlino e sua moglie scesero e si unirono al gruppo.
“La pulänt ‘d farénna ‘d castagna con l’arcòta! Brava mama, n’aviva propi voja!” e così esclamando Carlino se ne mise nel piatto due grandi fette e iniziò a mangiarla con voracità.
La Cosetta invece guardò con sospetto quella cupola fumante e la Iolanda si sentì in dovere di dire: “Quall ch’a i é in tèvla l é ed tótt. Ch’an fâga mégga di simitón, parché nuèter a sän ala bôna”
Carlino allora si chinò verso la moglie e le sussurrò all’orecchio “E’ squisita…ha il sapore dei vostri marron glacè solo che non è così dolce!” allora la Cosetta si decise un po’ titubante a tirare giù nel piatto una fetta di polenta, la condì con una cucchiaiata di panna, l’assaggiò, sorrise ed esclamò: “E’ proprio buonissima!”
“L’è un magnèr da puvrètt, ma al cava la fâm anc se dåpp al fa un po’ scurzer!” le spiegò il più gentilmente possibile la Cesira.
“Mama, bàn csa giv?” esclamò Carlino.
“Mò parchè l’è forsi acsè sgnàura c’al scurazz le cånpra beli fat al negozi?” chiese con un velo di ironia la Cesira, la Iolanda iniziò a sghignazzare, ma per fortuna la Cosetta non capiva un’acca del dialetto ed era troppo occupata, essendo a digiuno dalla mattina, a prendere giù nel piatto un’altra fetta di polenta stavolta con la ricotta.
Dopo cena, mentre gli uomini iniziarono a farsi una partita a briscola, la Cosetta risalì in camera e tornò giù con quella strana scatola che era poi una capelliera, l’aprì sul tavolo è iniziò a tirare fuori dei pacchetti regalo, elegantemente confezionati con tanto di bigliettino colorato con il nome di ognuno e chiese di poterli mettere sotto l’albero di ginepro addobbato come ogni anno: “Un pensiero per ognuno di voi da aprire la mattina del giorno di Natale” disse mentre inginocchiata li sistemava con garbo, mentre da un angolo del camino la Brigida con in braccio Fufi la guardava incuriosita.
La bambina era rimasta molto intimidita da quella nuova zia ed anzi il fatto che indossasse una pelliccia l’aveva anche un po’ indispettita e resa sospettosa. Che bisogno c’era di togliere il vestito agli animali per metterselo addosso quando c’erano cappotti, giubboni e capparelle?
Infatti la rattristava moltissimo vedere lo zio Berto, quando la nonna uccideva qualche coniglio, prendere la pelliccia, inchiodarla ben tirata su un’asse di legno ed aspettare che si asciugasse, poi la conciava per renderla morbida e quando ne aveva un certo numero le andava a vendere in paese.
Però tutti quei pacchi accuratamente confezionati in carte colorate e legati con cordoncini d’oro e d’argento le avevano fatto venire gli occhi lucidi per l’emozione.
Lasciò Fufi, si avvicinò alla zia e, pregustando la gioia dello spacchettamento, aveva già preso un pacchetto in mano per scartarlo, la Cosetta glielo riprese con garbo e piano le sussurrò in un orecchio: “I pacchetti hanno fatto un lungo viaggio e sono stanchi, li lasciamo riposare qualche giorno, li apriremo tutti il giorno di Natale, tu se vuoi puoi cambiare la loro posizione sotto questo albero che punge moltissimo…ahi!”.
La Brigida guardò molto delusa la zia, poi spostò lo sguardo sui pacchi che a parer suo non dimostravano nessun sintomo di stanchezza, infine, assolutamente non convinta, si rassegnò a tornare vicino al camino a giocare con il gatto e pensò che non bisogna mai fidarsi di un essere umano a maggior ragione se indossa il vestito di un animale.
Quella sera andarono tutti a letto molto presto, come promesso, mentre gli uomini finivano le ultime partite a carte, l’Elide iniziò a predisporre gli scaldaletto osservata con curiosità dalla Cosetta, si inginocchiò davanti al camino, prese con la paletta un po’ delle braci che si erano formate sul fondo e iniziò a distribuirle in scodelle di metallo con piedi e manici di legno, coprendole alla fine con uno strato di cenere.
La Iolanda e la Cesira ne presero uno per uno e salirono nelle loro camere, l’Elide prese l’altro e disse con la Cosetta: “Vieni … ti faccio vedere come facciamo a scaldare il letto”
Salirono nella camera dove avrebbero dormito gli ospiti e l’Elide, dopo avere appoggiato a terra il contenitore con le braci, prese da dietro la porta un telaio in legno a forma di mandorla, si avvicinò al letto, tirò giù tutte le coperte, appoggiò sulle lenzuola il telaio e sopra la scodella con le braci e ricoprì tutto con le coperte.
“D’inverno le camere sono troppo fredde, domani mattina vedrai che ci sono i vetri delle finestre ghiacciati, l’umidità penetra nelle lenzuola e nei materassi e quindi andiamo a letto dopo avere messo il prete, che è il telaio che tiene sollevate lenzuola e coperte e la suora che è il contenitore con le braci. Perché li chiamano così non te lo so dire, ma ti posso assicurare che quando te e Carlino andrete sotto le coperte, dopo averli tolti, sentirete un tepore unico! Ma voi a Torino come vi scaldate”
“In cucina abbiamo la stufa economica, nelle sale come pure al piano di sopra nel corridoio delle camere da letto abbiamo delle stufe in terracotta che alimentiamo con il carbone, fanno molto caldo, se comunque d’inverno a letto sento ancora freddo porto con me la boule con l’acqua bollente! Ma sta fumando, sta andando a fuoco tutto il letto!” gridò la Cosetta
“E’ il vapore dell’umidità…. se non ti serve altro, buonanotte, riposatevi dal viaggio e domani mattina potete rimanere a letto, siete praticamente ancora in viaggio di nozze è giusto che ve lo godiate” e così dicendo l’Elide la lasciò per andare nella camera di sua suocera per predisporre e scaldare anche la brandina della Brigida.
La mattina della Vigilia quando Carlino e la Cosetta scesero giù in cucina, trovarono tutte le donne che si erano alzate all’alba al lavoro per i preparativi di Natale, si voltarono tutte simultaneamente a guardare la sposina perché aveva indossato dei pantaloni neri a sigaretta con sopra un caldo maglioncino in lana a collo alto dello stesso colore e ai piedi un paio di comode ballerine.
Alla Cesira che la stava guardando con la bocca aperta e le mani sporche di farina chiese: “Avete bisogno di una mano in cucina?”
Le rispose l’Elide: “Siamo già in tre, ci pesteremo i piedi a vicenda, va con Carlino che stamattina vuole fare il giro degli amici e parenti per fare gli auguri, così ti può presentare, ti conviene però cambiarti le scarpe, quelle che indossi vanno bene d’estate o in casa, fuori troverete del gran fango oltre al freddo, se vuoi ti presto i miei scarponi dovrebbero andarti bene!”
Così alcuni fortunati del borgo ebbero il piacere di conoscere con qualche ora di anticipo “la piemontesina”, per la maggior parte del genere femminile del Borgo l’occasione tanto attesa fu invece la Messa di mezzanotte per celebrare la nascita del Bambino.
I Veggetti entrarono in chiesa un po’ in ritardo, così invece di andare a sedere nei primi banchi già occupati, presero posto negli ultimi ed allora si assistette a tutta una serie di contorsionismi da parte di teste velate o no per riuscire a vedere la Cosetta che, accorgendosi dopo pochi istanti di tutta l’attenzione suscitata, cercava di nascondersi il più possibile dietro a Carlino.
Riuscì ad accontentare tutti al momento della comunione perché, essendosi messa in fila per ultima, sfilò di fatto nel corridoio della chiesa e diede soddisfazione sia all’ala di sinistra che a quella di destra dei fedeli.
Aveva mantenuto lo stesso abbigliamento del giorno e indossato sopra al completo a pantaloni la giacca di pelliccia con il cappello coordinato, con un risultato molto elegante anche se non usuale per quel paese.
Si sentì allora come sottofondo al “Corpo di Cristo” pronunciato da Don Basilio un mormorio diffuso di commenti più o meno benevoli:
“La pèr propi la bela Gigogin cla và a spass col sò sposin!”
“As vàdd ch’l è ‘na sgnuråna! Guèrda tè che plezza!”
“ ..e po’ al caplèn! An l’aveva brîśa un fazulàtt o ‘na bartuchèńna da metter in testa?”
“Seee… ‘na dòna cla porta al brègh… an la voj a men!”
“L’è tótta invidia la vostra!”
“Puvreina l’è un pò zopa!”
“Un quelch difett l’ha da èser, la perfeziån la n’esesst!”
“Tott j disen che l’è bèla, mò par mè l’è gnint ‘d spezièl” bisbigliò la Gaudenzia in un orecchio alla Peppina.
“L’ha la blazza dl èśen” rispose ironicamente la Peppina alludendo con questo modo di dire alla sola freschezza dovuta alla giovane età.
Dopo essersi scambiati reciproci auguri sul sagrato della chiesa, ognuno soddisfatto ritornò a casa propria.
Il giorno di Natale trascorse serenamente, al pranzo furono invitati Don Basilio, lo zio Icilio, la Natalina, i genitori e la nonna della Iolanda.
Furono scartati i regali portati dalla Cosetta: bei foulard di seta per le donne, tabacco per la pipa per Adolfo, pullover per Berto e Amerigo, un completino in lana per Diego e un orsacchiotto per la Brigida, che dopo averlo rivoltato da tutte le parti e provato a chiedergli cosa era, non ottenendo nessuna risposta pensò bene di chiuderlo dentro al cassone della legna accanto al camino.
L’Elide si scusò dicendo: “Sei stata molto gentile Cosetta a portare regali per tutti, qui da noi non c’è l’usanza di fare trovare doni sotto l’albero il giorno di Natale e quindi non abbiamo pensato di contraccambiare. E’ tradizione invece di scambiare tra le famiglie il nostro dolce tipico che è la crescenta dall’uva e quindi ne porterete due su a Torino, così la farai assaggiare alla tua famiglia”!.
Durante il pomeriggio ci furono numerose visite da parte di parenti e conoscenti che si presentavano con la scusa di volere salutare Carlino prima che andasse via, ma in realtà per ammirare quella sposina che parlava un italiano tutto pieno di “neh” e di “e bon” e che li guardava con i punti interrogativi nelle pupille se parlavano fra di loro in dialetto.
Come programmato la mattina del giorno di Santo Stefano arrivò il servizio pubblico di Romagnoli che avrebbe portato alla stazione del paese Carlino e la Cosetta in tempo utile per prendere il primo accelerato per Bologna.
Ci furono i saluti corredati dalle promesse di reciproche visite per periodi di tempo più lunghi, peraltro tutti già consapevoli che la distanza, gli impegni di lavoro e la pigrizia avrebbero fatto in modo di rimandare all’infinito le occasioni di possibili incontri.
Stava per iniziare un nuovo anno …..cosa avrebbe portato?
………continua
Rita Ciampichetti, 2024
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