Luciano Marchi nwl. 149 – La foto tessera: ne ho scattate così tante che non potrei contarle…


NEWSLETTER DEL 27/08/2025 LA FOTO TESSERA.
Ne ho scattate tante, nella mia vita. Così tante che non potrei neanche ricordarne il numero: sono volti, certo, ma anche idee, espressioni, modi di vivere, atteggiamenti. Fototessere, appunto.Ho sempre affrontato quello scatto con rispetto – forse anche con un pizzico d’umiltà – e così faccio ancora oggi. Le immagini finiscono su documenti, con uno scopo preciso.
Eppure, se ci pensiamo bene, quella persona deve essere riconoscibile per come è nella vita: quella fotografia serve a dire, senza parole, “sì, sono proprio io”.
Stiamo parlando di poco? No, se ci riflettiamo: quel piccolo quadrato accompagna la nostra esistenza per anni.E chi lo guarda, di solito, non ci conosce: eppure accetta senza obiezioni uno scatto giovanile, i capelli più lunghi, l’occhiale che non portiamo più. La vita cambia, e la fototessera ce lo sussurra prima di tutti. “Dovrei fare una fototessera”, mi dicono.E in quella frase c’è sempre un peso sottile, quasi un senso di rito. In due stiamo fermando il tempo: uno privato e rivolto al futuro, l’altro mio, di oggi, che ogni giorno sento trasformarsi in ieri.

“Prego, si accomodi.” “Si metta lì, bene. Mi guardi… sì. Un piccolo sorriso.” La responsabilità è reciproca, come le attenzioni. Siamo in due dentro una lanterna magica, una piccola vita parallela in cui entriamo all’improvviso, ma consapevolmente. Ed è lì che accade qualcosa di speciale: davanti all’obiettivo spesso la persona mostra un velo di timore, un’insicurezza, persino la paura di rivelare un piccolo difetto.La fototessera sembra una formalità, ma costringe chiunque a guardarsi senza difese. Il mio compito non è solo tecnico – luce, messa a fuoco, sfondo perfetto – ma umano: accompagnare quel momento, trasformare l’imbarazzo in serenità. Con poche parole, con lo sguardo giusto, faccio capire che non è un tribunale ma un incontro. E quando la tensione si scioglie, il volto si illumina: lo scatto diventa vero. E proprio per questo, diventa giusto. Certo, gli atteggiamenti sono tanti. C’è chi ha fretta, chi chiede di fermarsi, chi arriva con i bambini (di solito le mamme) o chi deve far fare la foto proprio a loro.Già, i bambini: fantastici. Da loro pretendiamo un comportamento adulto, quando spesso non capiscono nemmeno perché devono stare fermi. Sarebbe bello, e giusto, che fossero altri ragazzini a guardare le loro immagini: questione di tempo, questione di vita.
Ma per i giovani il tempo non ha ore – beati loro – e me lo ricordano ogni giorno, anche in fotografia.E poi ci sono gli incontri che scaldano il cuore: persone che conoscevo da ragazzo, amici, compagni di strada, che oggi vengono a farsi scattare una fototessera. Nei loro occhi rivedo un tempo che non c’è più. Li colgo in un misto di pudore e nostalgia: qualcuno scherza sugli anni che passano, qualcun altro abbassa lo sguardo, quasi temendo che l’obiettivo metta a nudo i segni lasciati dal tempo.In quei momenti il mio lavoro diventa ancora più delicato: non sto creando solo un documento, ma un piccolo ponte tra ciò che eravamo e ciò che siamo.
E quando il sorriso riaffiora, anche solo per un attimo, mi sembra di ritrovare quei volti di un tempo: intatti, vivi, pronti ancora a raccontare storie. Le fototessere mi piacciono sempre di più. La maggior parte finisce nei certificati, ma alcune restano in quel cassetto che contiene tutto: le forbici, la penna a biro, il nastro adesivo che non trovi mai l’inizio.Lì dentro le fotografie quasi annuiscono, come se si offrissero spontaneamente. E sempre una mano esterna le guarda: un figlio, un nipote, uno spettatore inconsapevole ma deciso a curiosare.Oggi viviamo l’era dei social, di Facebook. Ci si scatta un “selfie” e lo si pubblica per ricevere “like”.
Gli sguardi arrivano da lontano, amici di rete, eppure abituati alla nostra immagine, alla nostra storia. Ma la fototessera ha fatto, da sempre, molto di più: ci mette nella società vera, quella che si tocca. A guardarci non sono i soliti compagni di solitudine virtuale, ma sconosciuti che ci riconoscono, e forse interpretano il nostro volto. Ne ho scattate così tante che non potrei contarle. Ma ne vado orgoglioso: non solo di quelle sui documenti, ma soprattutto di tutte le altre. Sono respiri di vita regalati agli altri, che diventano possibilità: guidare, viaggiare, curarsi, vivere. Non sarà Facebook, ma è Facelife: il volto come vita concreta.

“Vorrei una fototessera.”
“Prego, si accomodi.”
E in due, ogni volta, iniziamo un piccolissimo viaggio: io per riflettere, Lei (o lui) per tornare a vivere. Meglio.                                                                               
Luciano Marchi  
WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella privacy policy.<br>Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera,<br>acconsenti all'uso dei cookie.<br> Maggiori informazioni

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi

  • Statistica - Wordpress Stat
    Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
La privacy policy completa può essere consultata alla pagina dedicata.

Chiudi