Briganti a Vergato di Dario Mingarelli

2012/11/06, Vergato – In questo breve racconto, il prof. Dario Mingarelli ci parla di un pezzo della storia del nostro paese: I Briganti.

Vergato era divenuta, nella attuazione delle nuove circoscrizioni amministrative operate dai Francesi, capoluogo di un Distretto. Ventinove Comuni gravitavano su Vergato che venne acquistando sempre maggior prestigio, sia dopo il consolidamento della organizzazione voluta dal Melzi durante il periodo della Repubblica Italiana e sia dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Oltre ad essere sede del Consiglio Distrettuale, Vergato ebbe un Cancelliere del Censo che cominciò la sua attività dopo il 1802, un Ufficio del Registro, un contingente militare appartenente alla Guardia Nazionale ed alla Regia Gendarmeria, un Giudice di Pace che reggeva un Ufficio di Conciliazione per l’amministrazione della giustizia Civile e, durante il periodo del Regno, un Viceprefetto nominato dal Re alle dirette dipendenze del Prefetto di Bologna. L’importanza di questi uffici, cui i cittadini del Distretto dovevano fare riferimento, aveva reso Vergato il centro degli interessi politico-amministrativi e il fulcro da cui si diramavano le disposizioni e gli ordini del governo centrale. Anche questa nuova articolazione, tuttavia, per quei tempi molto complessa e avanzata, non riuscì a mutare le condizioni socio-economiche e gli indirizzi ideologici conservatori della maggioranza dei cittadini del Distretto. I frequenti mutamenti politici, il dover adeguarsi a disposizioni sempre nuove e diverse che contrastavano col «modus vivendì» tradizionale, il dover sottostare a direttive gravose, lontane e contrarie agli interessi degli abitanti del Distretto, furono ragioni che causarono il formarsi di bande organizzate contro il potere francese e coloro che lo sostenevano. Il fermento antifrancese fu vivissimo in tutta la montagna fin dal 1798, ma trovò il suo culmine nel 1809. Nella prima decade di luglio di quell’anno, infatti, un centinaio di «Briganti» assaltò Vergato, occupò la Residenza Municipale bruciandone le pubbliche carte e, dopo aver devastato la caserma sede del Capitano della Regia Gendarmeria, ne sequestrarono le armi; impadronitisi poi del sale nazionale lo vendettero ad un prezzo arbitrario. Tale Giuseppe Pasquini di Prunarolo occupò anche la casa del signor Doma, che ricopriva la carica di Ufficiale del Registro, asportandone mobili e oggetti.

Capeggiava questa incursione Don Alessandro De Franceschi parroco di Montasico, il cui compito era tener uniti i rivoltosi e di guidarne le gesta. Non fu un’azione isolata l’assalto di Vergato, ma un episodio che si inquadrava in un più vasto tentativo di insorgenza. Pochi giorni prima era stata assaltata la Comune di Porretta e poco dopo la stessa sorte l’avrebbero patita Sasso e numerosi Comuni della montagna. Ma perché i cosiddetti «Briganti» decisero di passare all’azione? Da anni le bande erano formate, già la prima coscrizione obbligatoria aveva avuto come effetto la diserzione di molti abitanti della montagna, da molto tempo nell’Appennino bolognese le autorità non riuscivano ad applicare le leggi nonostante le ripetute sollecitazioni ai parroci e gli Agenti Municipali, ma non si era mai passati ad azioni di attacco organizzato contro le autorità. Quattro furono le cause che contribuirono a far traboccare la misura ormai da tempo colma: il grande attivismo del giovanissimo Ubaldo Mazzetti da Sibano che, stando almeno ai resoconti processuali, tentò di organizzare le varie bande verso una generale sollevazione il cui obiettivo finale era l’attacco a Bologna stessa; una nuova Coscrizione militare che piombò come una calamità sulle famiglie del Distretto che non potevano privarsi, in un sistema di prevalente economia agricola, di uno dei loro giovani componenti; l’imposizione di un dazio sul macinato che gravò pesantemente sull’economia domestica, già debole per via dei continui salassi fiscali. Infine l’appoggio e l’incitamento di molti parroci, che predicavano come peccato servire nell’esercito repubblicano e regio nemico della religione, fomentando la diserzione che rafforzava le fila dei «Briganti». Dopo l’assalto e la capitolazione di Vergato i «Briganti», dopo tre giorni di occupazione incontrastata, incapparono in un picchetto militare che si approssimava a Vergato. Il gruppo dei rivoltosi fu disperso, De Franceschi, ormai settantacinquenne, venne catturato e con lui una decina di seguaci. Il residuo della banda, senza più guida, continuò, a gruppi, sporadiche azioni di attacco incalzato dai gendarmi che, senza sosta, perlustravano il Distretto. La  Commissione militare, creata appositamente per giudicare reati contro lo stato, condannò Alessandro De Franceschi alla pena capitale, eseguita a Bologna nel prato di San Francesco. Gli fu compagno il Mazzetti di cui condivideva il pensiero e l’azione. La pena, non proporzionata certo ai reati loro contestati, doveva simboleggiare, dinanzi a tutto il popolo, che «la mano di Dio e della giustizia ha sempre pronto il flagello contro gli scellerati». Questi uomini irriducibili amati dal popolo, al di là delle sentenze dei tribunali speciali di quel tempo, ed anche al di là delle loro gesta incontrollate, tennero vivo nella nostra montagna lo spirito di indipendenza fatto proprio dal moto risorgimentale.

Darlo Mingarelli

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