Rita Ciampichetti – Quando usava fare il corredo “Bsógna tachèr a pinsèr al corredo pàr sti dù patozi”
2022/07/07, Vergato – Quando usava fare il corredo – Un viaggio della memoria di Rita Ciampichetti “spolverato” dalle nonne deluse delle panchine dei giardini pubblici, infatti il loro lamento era che figli e nipoti usano lenzuoli e accessori di ultima generazione, casomai “da poco” ma colorati con elastici e altre acrobazie ma dei loro regali raccolti nel tempo a formare il corredo….niente!
Una tradizione, quella del corredo che va scomparendo. Ci pensa Rita a metterlo nella cassaforte della memoria… grazie!
Alla nascita di Laura, dopo solo quattordici mesi da quella della primogenita Francesca, mia suocera Rosita esordì dicendo:
“Bsógna tachèr a pinsèr al corredo pàr sti dù patozi”

La guardai interrogativa e le domandai: “Ma non è troppo presto?” e lei rispose:
“Arcordet patoza che l’è mej un pôc alla vólta che tótt in fûria solamänt al mumént ‘d tór maré! Anc såul par la spaisa!”
Da quel giorno non perdeva occasione e ricorrenza per acquistare o confezionare qualche capo di biancheria: lenzuola ricamate, asciugamani di lino, tovaglie di Fiandra iniziarono a trovare collocazione nelle ante degli armadi in attesa del futuro loro utilizzo.
A questa sua previdente attenzione per le necessità a venire delle nipotine si aggiunse quella altrettanto meritoria della loro madrina di battesimo, la Signorina Anita Maldina, intima amica della Rosita e per giunta proprietaria di un negozio di merceria.
Fu così che anche lei iniziò a provvedere più che generosamente ad implementare il loro “corredo” in occasione dei Natali e dei compleanni con le inevitabili delusioni da parte delle creature che non se la sentivano proprio di fare salti di gioia di fronte ad una parure di asciugamani della Bassetti per quanto belli quando si aspettavano la Barbie.
La preparazione del corredo è stata una antica tradizione, penso ormai completamente sparita almeno dalle nostre parti, che ha tenuto impegnate in tutte le regioni d’Italia generazioni di fanciulle, madri, nonne e zie in attività di ricamo, intarsi, realizzazione di pizzi e merletti, tessiture, stirature, inamidature e confezionamenti di tutti i vari capi di biancheria necessari nella gestione di una casa. Il corredo, risultato finale di tanta fatica, veniva poi riposto e custodito all’interno di bauli ed armadi assieme a spighe di lavanda e a palline di naftalina in attesa del grande giorno, quando la neo sposa lo avrebbe prelevato dalla casa paterna per portarlo alla sua nuova dimora.
Spesso era una attività che occupava buona parte del tempo libero dell’adolescenza di una ragazza e dal momento che si teneva molto a fare bella figura con la famiglia del futuro marito in particolare con suocere e cognate, le famiglie meno abbienti spesso si indebitavano per garantire un bel corredo alle proprie figlie.
Nel Sud d’Italia il corredo veniva e forse lo è ancora, molto considerato tanto da rappresentare uno status simbol per le famiglie da mostrare e fare vedere ad amici e parenti.
Ricordo che quando andavo a studiare a casa della mia amica Rosaria la sua mamma apriva il baule dove conservava il suo corredo ed era felice ed orgogliosa di mostrarmi i preziosi ricami e intarsi realizzati da lei personalmente che era maestra di ricamo. Ricordo ancora uno splendido copriletto di seta ricamato a fili d’oro, una vera e propria opera d’arte.
Pure io nel mio piccolo, direi molto spronata e sollecitata da mia madre, ho realizzato e ricamato qualche capo del mio corredo.
Come qualche mia coetanea ricorderà a quei tempi, d’estate era infatti abitudine di molte famiglie vergatesi fare frequentare alle proprie figlie la “scuola di ricamo” gestita da Suor Anna, superiora delle Minime dell’Addolorata dell’asilo Budriese che con la collaborazione dell’imponente Suor Eugenia e della mingherlina Suor Eligia, che però stava sempre in cucina, si occupava, negli anni sessanta, dell’educazione di uno stuolo di bambini vergatesi .

La scuola di ricamo si poneva l’obiettivo primo di non lasciare le creature femmine in ozio durante le vacanze, anche se a dire la verità avremmo saputo benissimo come occupare il tempo, secondo: una fanciulla che allora non sapeva tenere l’ago in mano era destinata nella mente di ogni madre ad un zitellaggio sicuro.
Rivedo ancora la stanza con il tavolone disseminato di stoffe, carte veline forate con i disegni da ricalcare con il tampone di carbone su lini e canape, il ferro da stiro, cotoni da ricamo colorati e il cicaleggio di noi ragazzine.
All’inizio Suor Anna ti consegnava una pezza e lì dovevi iniziare ad impratichirti con i primi punti: la filza, punto erba, punto catenella… e così via fino ad arrivare ai punti più difficili: punto pieno, punto stuoia, punto croce, punto palestrina.. quanti nodi da sciogliere. Poi affrontavi il primo facile ricamo su un centrino per arrivare a quello che per analogia può essere assimilata alla tesi di laurea: la tovaglietta da the! Solo affrontando e portando a compimento questo traguardo potevi fregiarti del titolo di ricamatrice di primo livello.
In ogni corredo che si rispettava non doveva mancare la tovaglietta da the accompagnata dai suoi tovagliolini, rigorosamente con i bordi completati con orli a giorno eseguiti alla perfezione.
Forte di questi preziosi insegnamenti ho ricamato asciugamani, realizzato lavori all’uncinetto, ricamato tovagliette e sottobicchieri e fatto chilometri di orli a giorno non indovinerete mai a cosa.
Dal momento che l’essere umano purtroppo non possiede il dono della previsione del futuro, chi poteva immaginare allora che sarebbero stati inventati i pannolini e gli assorbenti!
Nell’anta più alta del mio guardaroba giacciono inutilizzate diverse scatole di pezze di misto lino, da me rigorosamente rifinite con l’orlo a giorno, che non dovevano assolutamente mancare nel corredo di una sposa in previsione ovviamente del ciclo mensile e delle future necessità fisiologiche dei bambini che sarebbero nati.
Per i quantitativi dei diversi capi in genere si prendeva a riferimento come numero minimo il sei e si proseguiva secondo le disponibilità economiche con i successivi multipli per quanto riguardava le lenzuola, le federe, le tovaglie e relativi tovaglioli, gli asciugamani, i canovacci ed i grembiuli per la cucina, i servizi da the, i centrini eccetera.

Oltre alle lenzuola ed alle federe c’era poi da prevedere il necessario per il completamento del letto che a differenza di oggi che ce la caviamo con una trapunta estiva ed una invernale allora esigeva la coperta di lana pesante per l’inverno e quella leggera per le mezze stagioni, i diversi tipi di copriletto di cotone, piquet o seta ed anche l’imbottita per i rigidi mesi invernali quando l’unica fonte di riscaldamento era la stufa economica che però stava in cucina.
Negli anni ’50 inoltre particolare cura era riservata al confezionamento della biancheria personale della futura sposa che doveva fare parte del corredo, molto spesso realizzata in seta ed impreziosita da delicati ricami: camice da notte, vestaglie, sottovesti, liseuse.
Quando ero ragazzina ricordo inoltre che a Casa Gentilini a volte passava un commerciante ambulante che vendeva splendida biancheria ricamata “Fiorentina” e la proponeva anche con la possibilità di acquisto a rate, ora queste figure sono state completamente soppiantate dagli acquisti on line, ma era piacevole vedere sciorinate sul tavolo della cucina lenzuola e tovaglie e osservare le mamme che valutavano il tipo di tessuto e contrattavano sul prezzo.
La Maria, la nonna di mio marito, raccontava che una volta il corredo era oggetto di un vero e proprio inventario da parte del padre della sposa che elencava scrupolosamente su carta che veniva poi controfirmata tipo e quantitativi dei capi e degli oggetti portati in dote alla famiglia dello sposo, comprese camice, calze e mutande, toccava alla sposa anche l’acquisto del comò e pertanto quando si trasferiva a casa dello sposo tutta la dote veniva caricata su un carro trainato dai buoi.
Conservo ancora alcuni capi del corredo della nonna, fatti con ruvida tela tessuta a mano e riportanti in un angolo le cifre ricamate a punto croce con cotone rosso, molto rustici, ma hanno il pregio di essere indistruttibili e di asciugare perfettamente.
Nell’armadio della nonna ci sono anche delle lenzuola di tela “Ghinea”, un tessuto che veniva utilizzato a quei tempi di colore ecrù che per farle diventare bianche occorreva lavarle con la lisciva e stenderle al sole per un numero infinito di volte. Sono talmente ruvide che messe nel letto la prima notte sembra di dormire nella carta vetrata, però conservo gelosamente questi pezzi superstiti di antichissimi corredi ormai centenari.
Ed arrivò il fatidico giorno in cui le mie creature lasciarono il nido per andare in una nuova casa tutta loro. Pensai: “Finalmente, consegnerò loro il corredo che con tanto amore la nonna e la madrina contribuirono a confezionare e libererò spazio negli armadi”.
Pia illusione fu la mia perché mi zittirono con questa considerazione:
“Mamma i tempi sono cambiati! A parte il fatto che questa biancheria non la usi neppure tu, ma ti sembra che possiamo rinunciare alle lenzuola con gli angoli, che possiamo avere il tempo di stirare alla perfezione le lenzuola di lino ricamate con tutti quegli intarsi, che utilizziamo i teli da bagno o gli asciugamani di tela con i pizzi che si bagnano subito anziché gli accappatoi e quelli di spugna, che usiamo le tovagliette da the o le tovaglie di Fiandra con anche i tovaglioli? E cosa dici dei colori e lo spazio che occuperebbe tutta questa biancheria? No, guarda non portiamo via proprio un bel niente! Andiamo a comperare solo quello che serve e soprattutto ce lo scegliamo noi come più ci piace!”


















Come dare loro torto? E’ vero i tempi sono cambiati, pure io non utilizzo più i tovaglioli di stoffa abbinati alle tovaglie ed anzi ho comperato quelle di tessuto anti macchia o colorate, le tovaglie bianche di Fiandra ho paura di macchiarle, gli asciugamani di lino con i pizzi all’uncinetto li tengo per decorazione e anche le lenzuola di lino ricamate, dove si dorme benissimo d’estate perché sono freschissime, rimangono nel cassetto perché richiedono almeno due ore di stiratura e chi invita più le amiche per un the apparecchiando il tavolino di sala con la tovaglietta ricamata? Ci si trova al bar per un aperitivo dove non sono indispensabili i sottobicchieri con il pizzo all’uncinetto.
Il corredo è un “prodotto” squisitamente femminile, ormai passato di moda, per il quale ogni ragazza, mamma, nonna ha investito denaro, impegno, fantasia, ingegno ed è stato per molte oggetto di orgoglio e vanto.
Purtroppo le infinite ore di lavoro passate al confezionamento del corredo sono oggi lì rinchiuse negli armadi e nei bauli, i tessuti ingialliscono, saltano fuori le macchie di ruggine, però quando apri le scatole e riguardi il contenuto, ora inutilizzato, ti rendi conto di quanto amore è stato profuso in quella attività e allora inizi ad immaginare i pensieri, i desideri, i sogni e le speranze che hanno accompagnato l’incedere di quell’ago nel ricamo o l’uncinetto nella realizzazione di quel pizzo, quei lavori sono pezzi unici e irripetibili di una qualità altissima, ormai difficilmente reperibile sul mercato, per tessuto e manifattura
Chissà se in futuro ritornerà di moda il corredo, però visti i tempi che corrono prevedo che quelli già realizzati e che ora rimangono inutilizzati dentro ad armadi e bauli hanno una elevata probabilità di tornare a nuova vita e potrebbe anche accadere che un giorno le mie creature siano costrette, loro malgrado, a dovere sbiancare con la lisciva i vecchi lenzuoli di Ghinea della bisnonna Maria!
Rita Ciampichetti 2022