Monte Cavalloro – A Casa Costonzo sicuramente vi si insegnavano le dottrine della Scuola Medica Salernitana…

montecavalloro-0003-copia2016/10/27, Vergato – Archivio APCS- Dica XXXIII – Una bellissima scuola medievale di medicina sopra Riola. Ne volete una anche voi? Cominciate a scavare a Montecavalloro, oppure…

Dott. Ermete Trismegisto, Mago di Malalbergo. Dottoressa Bisini, massaggi scala B senza portiere. Tutto sottosterzo, dutòur! Dottò, accattateve e’ sigarette! E così via, in questa Italia tutta di dottori dove i signori, ahinoi, sono di giorno in giorno più scarsi.
Ma non è stato sempre così. Nel Medioevo ad esempio c’erano più signori che dottori, feudi e castelli erano dappertutto ma quando ti ammalavi erano cavoli, ti saluto assistenza domiciliare e USL, tuttalpiù lazzaretto e auguri, rien ne va plus, consummatum est, game over. Peggio ancora nelle campagne, dove di soldi ce n’erano pochini e più che il medico esercitava il fattucchiere o il prete. Da alcuni documenti risulta infatti che nel 1370 o giù di lì in tutto l’Appennino bolognese non vi fossero attivi che cinque dottori, di cui uno a Campeggio, uno a Valle, uno a Tavernola e tre a Costonzo. Località, quest’ultima, che proprio per la curiosità del dato e per la sua eccellenza andiamo qui di seguito a descrivere.
A Costonzo ci si arriva su per la Porrettana, e senza abbandonarla per il recente svincolo se ne segue il tracciato originale entrando in Riola. A destra troverete un cartello indicante tre località, tutte interessantissime: Montecavalloro, Casa Monzone e, appunto, Casa Costonzo.

Siccome il percorso è ad anello, non rischiate di perdervi niente. Se volete però vedere prima Costonzo, scegliete la sinistra e ve la troverete lì, massiccia eppure armoniosa nei suoi vari volumi, elegante e imponente sul colle il cui panorama vastissimo è concluso dalla riga d’argento di Suviana. E sveliamo il mistero: la grande e fortificata costruzione (tutta in sasso) era nel Medioevo scuola di medicina e fors’anche ospedale, ecco il perché di tutti quei dottori. La frequentavano, pare, gli studenti dell’intera Alta Italia o forse anche più in là, i futuri discepoli di Ippocrate, di Galeno e del Filosofo per eccellenza, quell’Aristotele considerato per secoli somma autorità in ogni campo dello scibile, medicina compresa. Sicuramente vi si insegnavano le dottrine della Scuola Medica Salernitana, il non plus ultra a quei tempi; si studiavano e si applicavano le virtù curative delle erbe e dei quattro elementi, un po’ di astrologia di qua, di alchimia di là, e anche una dose di ciò che oggi potremmo sbrigativamente chiamare superstizione e magia. Nel ruolo di insegnanti poi gli stessi proprietari, una vera e propria stirpe di medici che da sempre si tramandavano pratica, amministrazione e docenza. Ricchi, come si vede dalla casa. E famosi, se i nomi di Corsacio e Patarono da Costonzo ci sono stati tramandati fin dai primi Trecento.
Oggi Costonzo appartiene alla famiglia Schiavina, che vi ha operato un faraonico restauro consono alle dimensioni e all’importanza dell’edificio. Almeno in teoria, lo si può visitare anche all’interno (fissare l’appuntamento chiedendo del geometra all’omonima impresa di Casalecchio), e sia che ci riusciate o no, una gita vale comunque la pena. Gli elementi architettonici più tipici della nostra montagna – le finestre strette tra massiccie bozze di pietra, le porte dell’architrave su cui è inciso il millesimo o la rosetta dei Comacini, le torri colombaie con in cima la fila dei mattoni a sega – sono tutti presenti a Costonzo, vera e propria sununa dell’arte del costruire di un tempo: edificio stupendo, forse il più bello delle nostri valli, sicuramente degno dell’iscrizione all’Albo dei Monumenti Nazionali, come del resto già è.
Per chi non ne avesse abbastanza comunque, si può proseguire sull’anello asfaltato e scoprire dopo poche centinaia di metri Monzone. Qui però di restauri non se ne parla nemmeno: la torre del Mille è fessurata e la sua statica desta preoccupazioni, il corpo principale è in parte disabitato ed il suo tipico look trecentesco per molti versi confuso sotto riparazioni e aggiunte estemporanee. Ma chi! mica tutti hanno i miliardi per ristrutturare un maniero. E d’altronde Monzone, col suo aspetto da fortezza feudorurale, da Castello di Fratta di Ippolito Nievo con le pannocchie stese ad asciugare sui beccatelli, il suo bel fascino ce l’ha anche lui. Così come ce l’hanno le numerose torri della zona di Vergato, dalle cinquecentesche Casalino e Casa Berti a quella duecentesca di Prunarolo o di Poggio Susano, del Trecento: tutte a poca distanza.
Ma anche Montecavalloro (Monte Cavalloro), la località da cui iniziate e finite il vostro giro ad anello, ha una sua storia da raccontare. Già feudo della Contessa Matilde e contesa fra i Vescovi di Bologna e quel Comune (al quale fu poi aggiudicata dall’arbitrato di Fra Giovanni da Vicenza), pare proprio che debba il nome a una «cava d’oro nel monte», una miniera in cui, oltre al ferro, è presente una vena del prezioso metallo. Prima però che vi mettiate in testa bislacche idee estrattive vi avvertiamo: l’impresa è già stata tentata, ma i costi superavano il profitto. Ancora assetati dell’«Oro del Reno»? Fate un bel mutuo in banca, compratevi una mucchia di pietre quassù, e dopo averla restaurata alla meglio datela agli extracomunitari in affitto. Lauti guadagni, dottò!

Guido Mascagni da BE Bologna Economica notiziario, quindicinale della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna N.21 15 dicembre 1998

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