La Lastra del Diavolo – Terza parte; Mariuccia la guardò dubbiosa e rispose “Non so come la chiamano i dottori, noi diciamo che è la Spagnola!”

2021/09/28, Vergato – Rita Ciampichetti; La Lastra del Diavolo – terza parte

Mariuccia la guardò dubbiosa e rispose “Non so come la chiamano i dottori, noi diciamo che è la Spagnola!”

Sara spalancò la bocca dalla sorpresa e la tenne aperta qualche secondo, poi si riprese e lentamente chiese a Mariuccia: “Ma tuo cugino Vittorio in che esercito è arruolato e oggi dove di trova di stanza?”

Mariuccia questa volta la guardò stupita e le rispose:

“Nell’Esercito Italiano, quello che comanda il generale Cadorna e che sta combattendo quei fetenti degli Austriaci.

Vittorio è arruolato nel 41° reggimento fanteria “Brigata Modena” al fronte, su a nord al confine con la Slovenia, lo so perché mia zia che non sa né leggere né scrivere mi chiama sempre per le lettere da spedirgli. Lui l’hanno chiamato lo scorso anno, ma adesso dicono che arruoleranno per fare la guerra anche quelli nati nel 1899 e quindi anche Giovannino” e qui si interruppe perché scossa da violenti singhiozzi.

Dopo un po’, calmatasi, continuò: “Lui non vuole, dice che piuttosto diventa disertore e si dà alla macchia. Ha detto che morire a diciotto anni per una guerra voluta dai potenti è assurdo. Dopo l’ultimo incontro non l’ho più visto perché non è venuto agli appuntamenti, però io dovevo dirgli una cosa importantissima e non può andare via senza saperla! La prego Signora lo vada a cercare lei che è libera di muoversi, io non riesco ad andare oltre la Lastra del Diavolo! La prego Signora sia buona, ascolti il suo cuore, trovi  il mio Giovannino, me lo riporti e Dio saprà come ricompensarla!”   

Sara era cristiana perché era stata battezzata, comunicata e cresimata, aveva a suo tempo frequentato il catechismo e per un certo periodo era andata anche regolarmente a messa. Ora molto meno, non credeva al Paradiso, al Purgatorio e all’Inferno, però il pensare che esisteva una qualche forma di vita eterna dopo la morte la confortava. Antenore no, era più categorico. In fine dei conti affermava siamo forme viventi come gli animali e le piante e finito il nostro ciclo di vita, Natura vuole che moriamo. Una quercia dopo la morte, si decompone alimentando  altre forme di vita e la sua eternità consiste appunto nel fare progredire il ciclo di vita di altri esseri.

Si rendeva conto di trovarsi in una situazione al limite dell’assurdo, però per il suo modo di essere e soprattutto di percepire si sentì di credere a ciò che le accadeva, come fosse un atto di fede di quelli invocati da diverse  religioni e a cui ci si aggrappa quando la propria razionalità inizia a combattere con il soprannaturale e l’inspiegabile.

Si rivolse verso Mariuccia e la confortò: “Mariuccia, non ti assicuro nulla, ma ti prometto che farò tutto il possibile per riuscire a trovare Giovannino, ovunque egli sia in questo momento”.

Mariuccia le sorrise con gli occhi colmi di speranza e questa volta si dissolse letteralmente davanti a lei.

Sara sentì le forze abbandonarla, si sdraiò sulla calda superficie della Lastra per riflettere su quanto le stava accadendo e stremata si addormentò.

Si svegliò di soprassalto avvolta nel buio di una notte senza luna, si mise a sedere e cercò istintivamente in tasca il cellulare che non trovò perché, dato che  nella maggioranza di quei posti non c’era campo, aveva preso l’abitudine di non portarselo dietro, infatti quando doveva fare una telefonata il più delle volte era costretta ad andare in giro per il podere cercando il punto preciso in cui come per miracolo vedeva apparire sul display due tacche di segnale.

Stava iniziando a sentire la paura prendere il sopravvento quando udì in lontananza la forte voce di Antenore che la chiamava: “Sara, Sara, Sara” e un’altra più distante “Signora Sara, Signora Sara” e con tutta la forza che aveva iniziò a urlare: “Sono qui! Qui,  sulla Lastra del Diavolo!”.

Dopo pochi istanti vide balenare nel buio le luci delle torce, Antenore arrivò correndo, la sollevò quasi da terra e l’abbracciò, ma poi la scostò ed iniziò a scuoterla quasi con durezza. “Ma dico! Sei impazzita? Quando si è fatto buio e non ti ho vista tornare ho iniziato a preoccuparmi veramente. Oggi pomeriggio sei scappata come una furia, non hai detto  dove andavi, hai lasciato a casa il cellulare… ti rendi conto che non sei nel parco dei Giardini Margherita a Bologna? Per fortuna che Pasquini mi ha dato una mano a cercarti e che ha avuto l’idea di andare in questa direzione”.

Dopo qualche istante arrivò infatti Nello Pasquini, un bel signore di circa settanta anni che abitava da solo nel podere confinante con Ca’ d’Adamo, dopo che era rimasto vedovo e che i figlioli erano sistemati in città.

Nello era una garanzia, sempre disponibile a dare una mano ad Antenore e soprattutto buoni consigli maturati dalla lunga esperienza di vita in quei luoghi.

Esordì dicendo: “Suvvia Antenore, non sgridarla troppo… tutto è bene quello che finisce bene, in settembre lo sai che viene buio presto….. non se ne sarà accorta! Adesso torniamo a casa e facciamoci sopra una bella dormita”

Il mattino seguente, dopo avere metabolizzato gli accadimenti del giorno precedente, Sara aveva le idee più chiare e davanti ad una tazza di caffè bollente e ad una crostata di more che aveva raccolto alla Cà Nova cercò di mettere a punto un piano di battaglia.

Come insegnante ed anche personalmente si era sempre interessata di storia e quando frequentava l’Università aveva avuto più di una occasione di accedere all’Archivio di Stato e alle  biblioteche per ricerche documentali e per reperire notizie, quindi non era priva di alcune conoscenze basilari per intraprendere quella specie  di “caccia al tesoro” in cui si era imbarcata.

Che informazioni di partenza aveva?

Mariuccia abitava in un posto chiamato Cà Nova, la sua famiglia era composta da dodici persone, aveva un cugino di nome Vittorio, amava un ragazzo di nome Giovannino che abitava invece a Labante in una casa chiamata Pianella.

Il periodo storico da esplorare era quello riferito alla Grande Guerra, quindi 1915-1918 ed essendo oggi il 2021 si parlava di più di cento anni fa.

Da dove iniziare?

Sara sapeva solo i nomi propri, nessun cognome, doveva assolutamente ricostruire le composizioni famigliari, capire chi erano e poi iniziare a interrogare gli abitanti più anziani di quelle zone e cercare di diseppellire lontanissimi ricordi purtroppo oramai del genere “sentito dire”.

Risoluta si disse: “E’ ora che inizi ad ampliare le mie conoscenze a livello personale e come prima mossa andrò da Nello”

Uscì di casa, passò dalla rimessa che Antenore aveva attrezzata come officina ed era diventata il suo “sancta sanctorum” e gli disse che sarebbe andata a trovare Pasquini per ringraziarlo. Suo marito, impegnato con un flessibile, le fece solo un cenno di assenso.

Bussò alla porta della casetta in sasso del vicino e al suo “Avanti, la porta è aperta” entrò.

Nello era seduto al tavolo della cucina e stava riparando un vecchio orologio a pendolo, Sara si guardò attorno e notò che tutto era lindo e ordinato.

L’uomo,  quando la vide, si alzò subito in piedi e premuroso le offrì la sedia e le propose un caffè.

“La ringrazio, l’ho già preso. Sono venuta per ringraziarla di avere aiutato Antenore a cercarmi ieri sera. Sono stata una sprovveduta, l’ho capito solo quando mi sono trovata al buio” esordì Sara.

“Può succedere, l’importante è imparare dagli sbagli che si commettono”

Guardandosi attorno notò che quella piccola stanza era arredata con gusto e una grazia quasi femminile, con oggetti anche di pregio e ricercati e si complimentò. A Nello vennero gli occhi lucidi e disse che era come lo aveva lasciato la moglie, dopo la sua morte non aveva toccato nulla, si limitava a tenere tutto in ordine e pulito.

Sara su un tavolino vide una fotografia in una cornice antica d’argento con il ritratto di una donna molto bella e gli chiese: “E’ sua moglie?” “No è l’unica fotografia che ho di mia mamma Mina, quella di mia  moglie Carla è  a fianco e poi ci sono le fotografie dei miei figli, Marco e Riccardo ed infine quelle dei miei nipotini Filippo, Matteo, Ginevra e Costanza. Le tengo tutte assieme e quando mi sento un po’ solo le guardo… sa mi tengono compagnia.

Sara stava per uscire, poi si voltò e chiese: “Nello, saprebbe dire se  a Casigno c’è qualcuno molto anziano che ha sempre abitato qui? Vorrei chiedergli delle informazioni su alcune case-torri”

Nello rispose che l’unico era Raflen dal Rès e gli diede le indicazioni per trovarlo.

Sara ringraziò e si incamminò per raggiungere quella parte della contrada chiamata il Raso.

Raflen, un uomo di più di ottanta anni segaligno, con lo sguardo ombroso su un volto rugoso, bruciato dal sole e con la barba ispida  era fuori sulla porta di casa, seduto su una sedia impagliata che fumava un sigaraccio puzzolente che ad ogni boccata espirata lo avvolgeva in una nuvola di fumo giallognolo.

“Buongiorno! Bella giornata vero?” squillò Sara con la sua voce più gioiosa

“Grrr! Per lei forse, per me no. Cosa vuole? Non ho del tempo da perdere io come voi villeggianti che venite su solo per  rompere le scatole a chi se ne sta in santa pace” rispose Raflen soffiandole addosso un nube tossica di fumo

“Veramente mi chiamo Sara, sto con mio marito Antenore a Ca’ d’Adamo e la sua famiglia è originaria di Casigno, suo nonno materno gestiva il mulino della Valle” disse Sara

“Ah ricordo….  Jusfein! Brava persona, onesta, non fregava mai sul peso come facevano gli altri!”

Approfittando del cambiamento di voce gli chiese se si ricordava invece chi aveva abitato alla Ca’ Nova.

Raflen si rabbuiò e sospettoso le chiese: “… e perché lo vorresti sapere? Sei venuta per caso a ficcanasare quassù? Lascia stare le porte chiuse, è più salutare”

Sara non si fece intimorire e disse: “Sto facendo una ricerca genealogica sulle famiglie più importanti dell’Appennino e visto che la Ca’ Nova, anche se abbandonata, sembra un podere importante ero curiosa di sapere chi ci stava, ma se non vuole dirmelo poco male, domani vado su in Comune a Castel d’Aiano e faccio una ricerca anagrafica o in parrocchia a consultare i registri parrocchiali.

 “Toh mò e porta a casa antipatico di un vecchio!” pensò tra sé Sara.

Raflen diede tre o quattro boccate di toscano, rifletté qualche minuto, poi replicò bruscamente: “Gli ultimi sono stati i Lolli, ma mi sembra che prima assieme ai Lolli ci abitavano anche i Vitali, almeno così mi disse una volta mia madre” e con queste ultime parole, si alzo e senza salutare rientrò in casa sbattendo la porta.

Sara sapeva per esperienza che per una accurata ricerca genealogica un punto di riferimento estremamene utile era rappresentato dai registri parrocchiali generalmente  custoditi negli archivi delle parrocchie, in cui venivano  annotati, a cura del parroco, gli avvenimenti  principali della vita religiosa dei fedeli. Potevano quindi rappresentare per lei una importantissima fonte di informazione per la ricostruzione dei fatti.

Ritornò a casa e chiese ad Antenore se sapeva chi potesse avere le chiavi della sagrestia o della canonica della chiesa di Sant’Andrea ormai chiusa da anni e dove si officiava solo in rare occasioni e saputo che le chiavi le custodiva Nello lo andò di nuovo a disturbare.

“Nello potrei avere le chiavi della chiesa? Vorrei andare a consultare i registri parrocchiali per una mia ricerca storica su Casigno che desidero pubblicare,  sempre che ci siano  ancora e non siano stati portati alla chiesa di Roffeno”

“Direi che qualcosa c’è… in una scaffalatura in canonica ho notato un po’ di libroni con la copertina nera e hanno l’aspetto proprio di registri. Bella questa tua idea della ricerca storica Sara e poi pubblicandola potresti dare un po’ di prestigio a questo nostro paesello! Ecco il mazzo di chiavi: queste sono quelle della canonica. Ti accompagnerei, ma devo andare giù a Vergato alla Coldiretti per una pratica; buon lavoro!” e così dicendo Nello le consegnò un grosso mazzo di chiavi con attaccati vari cartellini identificativi.

Sara passò da casa a prendere l’auto che era parcheggiata nell’aia e senza dire nulla ad Antenore, partì alla volta della chiesa che, con accanto il piccolo cimitero, sovrastava dall’alto la strada principale.

Sorrise nel notare che la chiesa aveva due porte distinte, una per gli uomini e l’altra, sul retro, per le donne, fatto sta che le aree antistanti erano state individuate con due targhe scolpite di arenaria come “piazza degli uomini” e “piazza delle donne” scritte in dialetto.

Un tempo la diversità di genere era evidenziata in mille situazioni, anche davanti a Dio.

Tralasciò le entrate principali della chiesa ed andò direttamente alla porta della costruzione laterale della canonica, infilò la chiave ed entrò.

Il locale era da tempo non utilizzato e l’assalì il classico odore di muffa degli ambienti umidi a lungo chiusi, accese la luce e si trovò di fronte un piccolo corridoio con alcune porte sia a destra che a sinistra.

Chiuse la porta d’ingresso e cercò sbirciando dentro le diverse stanze quello che poteva essere stato l’ufficio del parroco, lo trovò e notò subito dietro ad una scrivania la grande e vecchia scaffalatura in legno dove ancora ordinatamente allineati erano disposti i diversi registri.

“Allora, se Mariuccia aveva diciotto anni e Vittorio venti, poniamo nel 1917,  dovevano essere nati negli ultimi anni del 1800, quindi se rintraccio il registro di battesimo di quel periodo e spulcio tutti i nati di nome Lolli o Vitali dovrei reperire informazioni al riguardo”  ragionava Sara.

Riuscì a trovarlo quasi subito, il parroco di allora era stato veramente ordinato, ed iniziò a consultarlo quando all’improvviso sentì un rumore provenire dal corridoio.

“C’è qualcuno? Chi è?”

Nessuno rispose.

Si alzò e ripeté “C’è qualcuno?”

Coraggiosamente andò nel corridoio, la porta di ingresso in fondo era aperta, andò a chiuderla e in quel momento sentì alle spalle un rumore di passi frettolosi che si allontanavano.

Tornò di corsa alla studio e constatò con sgomento che i registri sulla scrivania erano spariti.

Crollò nella sedia dapprima sbigottita, poi pensierosa, infine arrabbiatissima con il cervello che andava a mille facendo varie congetture mentre, più per una curiosità innata che altro, iniziò ad aprire i diversi cassetti laterali della scrivania fino a quando, guardando dentro ad uno di questi, venne colta da una  sorpresa che fece sparire ogni traccia di rabbia trasformandola istantaneamente  in gioia autentica.

Ad alta voce proruppe in un liberatorio: “Sappi, chiunque tu sia che agisci nell’ombra, che la Sara non si dà ancora per vinta perché con lei c’è la Luce”

….continua

Rita Ciampichetti

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