Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.16: Berto, soddisfacendo un capriccio della Iolanda, tornò a casa con uno scatolone…

2024/09/16, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 16 – Pasqua venga alta o venga bassa, la vien con la foglia o con la frasca

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Capitolo 16: Pasqua venga alta o venga bassa, la vien con la foglia o con la frasca

Per fortuna quell’ultimo colpo di coda dell’inverno durò solo qualche giorno, ma fu bastevole per compromettere il raccolto delle albicocche come aveva pronosticato Adolfo.

Don Basilio, causa l’inclemenza del tempo,  aveva iniziato in ritardo il giro delle benedizioni pasquali, in quegli ultimi giorni di marzo assieme al fidato sagrestano Fausto detto Faustén, stava facendo il giro delle ultime case del paese e dei poderi alla velocità della luce.

Dai suoi conteggi poteva dedicare solo cinque minuti a famiglia, quindi mentre varcava la porta d’ingresso stava già recitando le preghiere di rito e dimenando l’aspersorio dell’acqua benedetta, non dimenticando di spargerne qualche goccia anche sulle uova contenute in una ciotola sul tavolo che poi sarebbero state mangiate per devozione a digiuno la mattina del giorno di Pasqua e soprattutto di prendere quelle che gli venivano date in offerta e che Faustén riponeva con delicatezza in una capiente cesta su un letto di paglia.

Alla stessa velocità con cui era entrato usciva dalla porta, non dando assolutamente corda a inutili convenevoli “Si si.. ne parleremo i prossimi giorni, ora ho una certa premura! Insàmma… adès an pòs bria!”,  saliva dietro alla motoretta del sagrestano che l’aveva già messa in moto e  tenendosi stretta con una mano la berretta nera e con l’altra il cesto con le uova, partiva di gran carriera con la sottana nera svolazzante per la prossima destinazione.

La Pasqua quell’anno cadeva “bassa” il primo di Aprile e considerate anche tutte le funzioni della settimana santa il povero curato era entrato in uno stato di ansia prestazionale elevatissima e, suo malgrado, sfogava questo nervosismo con la remissiva Giulia che non vedeva l’ora di andare a sfogarsi a sua volta dalla Peppina.

Don Basilio al par mat, al prélla da tótti il band e al zerca ‘na vôlta l’aspersorio dl’ aqua santa, un’ètra vôlta al breveri, cl’etra ancora la stola e tótt al vôlt am roja: “Gióllia in dov l’avì arpiatà!” Meee? Povra dôna ca sån, am  vôl ‘na  bèla pazienza a ster drè al sgnor curet in stè dè què!” si lamentava con la bottegaia intenta a sistemare i sacchi dello zucchero e della farina o a pulire la rossa affettatrice a manovella Barkel a cui teneva in modo particolare.

La Peppina l’ascoltava pazientemente e la rincuorava dicendole: “Fev curâg Gióllia, fra pôc l’è Pasqua, prémma o dapp al turnèrà  nurmel!”

Se se ma po’ dapp a j è la Festa e al saven tótt che e al dè d’la festa anch i malà drezzen la testa!” commentò la Giulia asciugandosi una furtiva lacrima.

Chéro vò sonza Gióllia, da què al quendg d’agost a tè voja!” le rispondeva ad un certo punto abbastanza spazientita la Peppina ed a quel punto sospirando la Giulia capiva che era ora di rientrare in canonica in attesa del ritorno di un Don Basilio sempre più nervoso.

Nella foto: Don Anselmo Cavazza, concelebrante, nella processione che venendo da Via Roma (Credito Romagnolo) procede in Porrettana per scendere dal Pincio.

La domenica prima di Pasqua, quella delle Palme, che ricordava l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, era stato distribuito dopo la messa l’ulivo benedetto ed i Veggetti ne avevano portati a casa numerosi rami.

Nel corso dell’anno lo avrebbero utilizzato per diverse funzioni quasi tutte finalizzate alla protezione dei raccolti contro le temute intemperie, attraverso l’esecuzione di una serie di riti in cui sacro e profano si mischiavano in un connubio perfetto.

Sulla cima dei pagliai avrebbero installato un croce fatta con canne, un ramo d’ulivo benedetto e per non lasciare nulla di intentato anche un fiocchetto rosso, questo per impedire che un fulmine cadendo mandasse a fuoco la preziosa riserva di foraggio.

La Cesira lo utilizzava come scongiuro contro i  temporali e quando vedeva che   all’orizzonte si ammassavano minacciosi nuvoloni neri e si sentiva aria di tempesta prendeva qualche rametto di ulivo benedetto, la paletta del camino, del sale, riempiva la  calderina con la brace accesa e la  metteva fuori  davanti alla porta di casa o in mezzo all’aia, poi iniziava a bruciare l’ulivo benedetto invocando Gesù con le seguenti parole:

 “Gesù Nazareno liberaci dal baleno, Santa Barbara benedetta liberaci dal tuono e dalla saetta, Gesù in campo liberaci dal tuono e dal lampo”, contemporaneamente scaldava nella paletta i grani di sale facendoli crepitare al calore delle braci.

Il tre di maggio, giorno di Santa Croce, Adolfo preparava delle croci utilizzando rami di pioppo, salice od anche di canna, purché freschi e stillanti linfa, all’incrocio dei quali legava  alcuni rametti di ulivo, all’alba avrebbe poi piantato le croci nel campo quando questo era coperto ancora dalla rugiada per proteggere le messi dalla “tempesta”.

Tutto questo faceva parte di quel patrimonio di tradizioni, credenze e cultura contadina che ormai può essere solo rievocato.

La settimana santa con tutte le funzioni e prescrizioni religiose previste in quegli anni era rispettata dalla maggior parte degli abitanti e a maggior ragione dai Veggetti, contadini del prete.

Quindi il  solenne triduo pasquale della passione, morte e resurrezione di Cristo con inizio nel pomeriggio del giovedì santo prevedeva numerose visite alla piccola chiesa del Borgo ad iniziare dalla celebrazione della messa in Cena Domini del giovedì sera a conclusione della quale venivano velate le croci, legate le campane, gli altari lasciati senza ornamenti tranne quello destinato alla  reposizione o sepolcro dove erano conservate le ostie consacrate durante la messa per l’adorazione e per la comunione del giorno seguente.

Con le campane legate Oreste il campanaro non era certo disoccupato, perché nei giorni di assenza del suono delle campane che scandiva il passare delle ore, gli avvenimenti più importanti e le varie funzioni religiose, avrebbe adoperato per chiamare i fedeli alla messa la  “scarabâtla” un particolare attrezzo che opportunamente agitato appunto faceva un gran rumore.

Il Venerdì Santo si svolgeva la Via Crucis, il Sabato la liturgia delle ore, una intera giornata dedicata alle preghiere anche se fino agli ultimi anni Cinquanta era in vigore l’anticipazione della Vigilia alla mattina del Sabato Santo.

Perciò quel sabato mattina del 31 marzo 1956 esattamente verso mezzogiorno Oreste il campanaro slegò finalmente le corde messe la sera del Giovedì Santo ai batacchi delle campane affinché nemmeno un soffio di vento potesse muoverli e iniziò a suonarle a distesa annunciando la Resurrezione, la gente lo chiamava “al glôria dal sâbet sant” e tutti procuravano di avere vicino dell’acqua per potere bagnarsi gli occhi al primo rintocco, e ciò per preservare la vista e la salute, perché in quel momento tute le acque diventavano sante e benedette.

Oggi con la riforma liturgica Conciliare, c’è stato un ritorno alle origini e il Sabato ha ripreso il significato del giorno della meditazione e penitenza; l’oscurità nelle chiese è totale, non vi sono celebrazioni liturgiche, né Sante Messe; è l’unico giorno dell’anno che non si può ricevere la Comunione, tranne nel caso di Viatico per gli ammalati gravi e le campane vengono sciolte il giorno di Pasqua.

Finalmente arrivò la Pasqua per la pace della Giulia e per l’inizio di un meritato periodo di riposo per Don Basilio.

Anche per le donne di casa Veggetti fu una settimana impegnativa.

Per le ragioni sopra descritte a benedizione impartita da Don Basilio venne fatta alla velocità della luce, ma non fu così per  il tempo che l’Elide, la Cesira e questa volta anche la Iolanda dedicarono alla pulizia di tutta la casa nei giorni precedenti.

Iniziando dal tassello fino alla dispensa e alle cantine ogni angolo fu ripulito dalla polvere e dalle ragnatele accumulatesi durante l’inverno, i pochi mobili lucidati con la cera, le calderine e le padelle di rame strofinate con sale e aceto fino a renderle splendenti, i materassi di lana portati fuori nell’aia e sbattuti a dovere, le mensole della credenza abbellite con strisce di carta intagliata, i pavimenti di  pietra rossa lavato con la liscivia usata per i diversi bucati di biancheria che erano stati fatti.

Il Venerdi Santo, giorno di digiuno ed astinenza dalla carne secondo la tradizione cristiana veniva ovviamente osservato in casa Veggetti e solitamente si preparava un solo pasto abbondante a mezzogiorno costituito da polenta e baccalà, come anche il sabato era considerato “giorno di vigilia” e veniva preparata una sostanziosa pasta e fagioli e per cena zuppa di latte, con immensa gioia della Brigida che tutto sommato si doveva ritenere anche fortunata perché in casa Veggetti la tradizione del sacrificio dell’agnello pasquale non esisteva, a suo nonno Adolfo non piaceva affatto, quindi il giorno dopo a tavola sarebbe stato portato in tavola, dopo le tagliatelle, un saporito galletto arrosto con contorno di patate e striccapugni.

Alla sera del sabato Adolfo aveva fatto alla Cesira la solita raccomandazione: “A m arcmànd Cesira: dmaténa ai vôl la claziån tradizionèl ed Pâscua: ôv dûri, salamén e vén bianc!” “Senz’èter, mò arcordet ben che e vén bianc  l’è al tö, dåpp brîśa lamintèrt par al mèl ed ståmmg!”, lo avvertì la moglie.

Ai vòl gli ôv dûri par zughèr a scuzzett con la Brigida!” disse sorridendo Adolfo.

A cosa?” domandò curiosa l’Elide

Beh Elide nel corso degli anni è stata un po’ persa l’usanza, ma quando ero piccolo io era il nostro divertimento nella mattina di Pasqua. Ogni ragazzo usciva dalla porta di casa portando con sé alcune uova sode benedette con cui fare “coccino”, era una sfida tra compagni, ognuno teneva in mano il suo uovo e lo cozzava contro quello dell’avversario, quello che si rompeva andava al vincitore il cui uovo era rimasto intatto. Ciascuno aveva il proprio segreto per risultare campione e tornare a casa con un ricco bottino di uova sode vinte”, spiegò Adolfo.

La Brigida che ascoltava attentamente si mise a saltellare dicendo: “Si, si cucett con cocchi!”.

Anche la Pasqua passò e la Domenica dopo, detta in Albis, giù in paese si festeggiava il Santo Patrono e come da tradizione sarebbero tutti scesi per partecipare alla solenne processione e per mescolarsi alle altre centinaia di persone provenienti dai paesi e dai borghi dei dintorni, avrebbero percorso le strade del paese dove i banchetti dei venditori ambulanti esponevano le diverse mercanzie e l’odore dello zucchero caramellato si diffondeva nell’aria, era l’occasione per incontrare i conoscenti e sapere le ultime novità, per parlare di affari e interessi, una occasione conviviale a cui nessuno di loro avrebbe rinunciato.

Sarebbero ritornati a casa con qualche acquisto, spesso quegli oggetti un po’ particolari dalle mille funzioni illustrate a gran voce da eccellenti persuasori, un pezzo di croccante, un tegame nuovo o quei servizi di piatti spacciati come una occasione eccezionale da non perdere.

Berto, soddisfacendo un capriccio della Iolanda, tornò a casa con uno scatolone che, una volta aperto, rivelò la presenza di una  grande bambola di celluloide, riccamente abbigliata con un ampio e colorato costume da damina tutto pizzi e fronzoli, dai capelli di stoppa color biondo e gli occhi che si aprivano e si chiudevano secondo la posizione assunta.

La Brigida spalancò la bocca in un O prolungato di meraviglia e stava per tendere le manine, ma venne subito bloccata dalla Iolanda che le disse: “No Brigida, non è un gioco, questa è una bambola da letto e la mettiamo su quello della zia e vedrai che figurone!” e presa la scatola si affrettò a salire le scale per andare subito a sistemarla.

La Brigida in un primo momento dimostrò una certa delusione, ma le tornò subito il sorriso quando il babbo le rivelò che si erano schiuse le uova di anatra che avevano messo a covare sotto la tacchina e che c’era una nidiata di anatroccoli gialli e neri che la stavano aspettando.

La Natura era nel fulgore della rinascita e della riproduzione e la Brigida naturalmente percepiva più di tutti il fermento in atto nel mondo animale occupato nelle danze d’amore, nell’allestimento dei nidi e nella cura della prole e preferiva passare il suo tempo assieme ai conigli, agli anatroccoli, ai pulcini, ai gattini venendo più che tollerata dalle diverse genitrici che sembravano gradire anziché temere la presenza della piccola anche quando con le manine si intrufolava sotto la chioccia per prendere un pulcino o giocava con i gattini dagli occhietti ancora chiusi senza nessuna protesta o aggressione da parte della gelosa mamma gatta.

Si avvicinava intanto  il mese di maggio con un appuntamento di una certa importanza….

….continua

Rita Ciampichetti, 2024

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