Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.17: “Tott i san che la dôna è cumpâgn a la castâgna: bèla par d’fôra, dàinter la magâgna”
2024/09/19, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 17: Tempi di elezioni e di altre disgrazie
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Capitolo 17: Tempi di elezioni e di altre disgrazie
Il 27 e il 28 del mese di maggio 1956 erano previste le elezioni amministrative e in quelle lande dell’Appennino c’era molto fermento politico.
Erano passati solo dieci anni dalle prime elezioni dopo la fine della guerra e quel non troppo lontano mese di marzo del 1946 fu, specialmente per le donne del borgo, un’occasione densa di sentimenti contrastanti che spaziavano dall’emozione, all’orgoglio, al timore con qualche momento di dubbio ed insicurezza che non avrebbero più dimenticato.
Le elezioni amministrative del 1946 erano le prime a suffragio universale e non solo le donne potevano esprimere liberamente una loro idea politica, ma oltre ad eleggere potevano essere anche elette: un passo da gigante nella lotta per l’uguaglianza tra genere femminile e maschile.
Una conquista non da poco per una donna che poteva, nella maggior parte dei casi, esprimere il proprio parere unicamente nell’allevamento delle galline o nell’andamento delle faccende di cucina in funzione di quella carica fittizia “senza portafoglio” che le era stata conferita, negli anni precedenti la guerra, in qualità di “Regina della casa”.
“La dôna l’è bona par fèr dal sulett e adesa la và a voter…. a voj pròpi rédder!”
“Tott i san che la dôna è cumpâgn a la castâgna: bèla par d’fôra, dàinter la magâgna”
“La dôna l’é l’uréggin ed tótt i mèl”
Più o meno erano queste le affermazioni maschiliste di quel periodo e lascio a voi immaginare il clima che si respirava, la possibilità concessa alle donne di votare costituì per giorni il soggetto principale delle chiacchiere e delle confidenze tra amiche, la richiesta di pareri, ma anche le imposizioni o le opere di convincimento da parte degli uomini, ma quando sempre nel 1946 si presentò la seconda occasione di chiamata alle urne il due di giugno per scegliere tra Repubblica e Monarchia ed in contemporanea eleggere i membri dell’Assemblea Costituente le nostre signore si sentivano già sufficientemente scafate per esprimere il loro libero pensiero nell’intima segretezza della cabina elettorale.
Ora erano nuovamente chiamate ad esprimere un parere per eleggere il partito che poi avrebbe governato il Comune, quindi era un coinvolgimento più diretto che riguardava persone conosciute delle quali si sapevano fatti e misfatti, che portavano con sé storie di famiglia e che magari scontavano, in termini di reputazione, colpe ataviche di lontani parenti, ma così era la vita dei piccoli paesi e borghi di provincia.
Il Borgo rappresentava, in scala ridotta, quel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale e dalle sue vicissitudini che avevano creato quella frattura ideologica che aveva diviso l’Italia in due parti distinte che si fronteggiavano da estremi opposti, un contesto che è stato descritto in modo divertente dalla serie dei film “Peppone e Don Camillo”: per semplificare da una parte i “rossi” e dall’altra i “bianchi”, Russia e Vaticano… senza esclusione di colpi, anche se iniziavano a sentirsi i primi tepori del “disgelo”.
Don Basilio, anche se in termini di prestanza fisica non poteva competere con Don Camillo, gli poteva stare alla pari per determinazione nel portare avanti una sua personale campagna elettorale a favore della Democrazia Cristiana senza esclusione di colpi.
In particolare modo da quando aveva saputo quanto stava accadendo nella città di Bologna.
Fin dalla liberazione il Partito Comunista Italiano aveva assunto la guida del Comune di Bologna relegando la Democrazia Cristina all’opposizione e quindi in controtendenza rispetto agli equilibri politici nazionali.
Quell’anno però il Vescovo della città, Giacomo Lercaro, con lo scopo di ribaltare l’esito dei risultati delle elezioni amministrative a favore della Democrazia Cristiana, era riuscito a convincere Giuseppe Dossetti, già membro dell’assemblea costituente, deputato e vice segretario nazionale del partito, a candidarsi come Sindaco, contrapponendosi ad un personaggio politico molto popolare dello spessore di Giuseppe Dozza.
“Se il nostro Vescovo è sceso palesemente in piazza in piena campagna elettorale, perché non posso darmi da fare pure io per impedire a questa banda di bolscevichi senza Dio di andare ad amministrare?”, pensava Don Basilio e per essere ancora più documentato in materia aveva perfino speso le 600 lire per l’acquisto del voluminoso Libro bianco nella quale il Dossetti illustrava un articolato progetto di città partecipata con l’innovativa introduzione dei quartieri perché come affermava sempre il Dossetti “ per fare politica occorre informarsi, studiare e alzare lo sguardo oltre il particolare…”.
Quindi il nostro Don Basilio che aveva così trascurato, per mancanza di tempo, il rapporto personale con il proprio gregge durante il giro della benedizione pasquale, pensò bene di tornare nelle varie case per sondare il terreno sulle intenzioni di voto e per caldeggiare con argomentazioni convincenti la scelta verso la Democrazia Cristiana.
Aveva la consapevolezza di intraprendere una missione difficoltosa pari a quella dei primi gesuiti inviati da Sant’Ignazio di Loyola nel Nuovo Mondo perché quel territorio durante gli anni bui della resistenza al fascismo e dell’occupazione tedesca era stato quello più martoriato e colpito dalle rappresaglie nazi-fasciste ed ogni famiglia aveva una triste storia da raccontare su parenti e amici uccisi o torturati o picchiati e tutti erano ormai a conoscenza delle stragi di innocenti perpetrate nei paesi attorno e nei campi di concentramento, quindi inevitabilmente i sentimenti di ribellione e resistenza al fascismo e al nazismo nell’immediato dopoguerra aveva portato per ovvie ragioni allo sviluppo e alla diffusione di contrapposti ideali comunisti e addirittura di simpatie bolsceviche diversamente ad altre regioni italiane diciamo più filo americane.
Fu alla fine di uno di quei deludenti giri elettorali che Don Basilio, un po’ per rinfrescarsi e dall’altro per trovare un auspicabile conforto da un confronto con Adolfo che stimava, pensò bene di fermarsi dai Veggetti.
“Che nuvitè l’è questa… c’sa fev què incû? Avì da dscårrer con Dolfo? Al vag a ciamer .. l’è in tla stàla” lo apostrofò la Cesira quando se lo vide comparire sulla porta della cucina e intanto si asciugava frettolosamente le mani nel grembiule.
“No, no Cesira… per favore datemi un bicchiere di acqua fresca e poi ci vado io nella stalla da Adolfo, gli devo solo chiedere una cosa….” le rispose Don Basilio
“A pos èser d’ajüt? Dgiv pûr a me…” chiese curiosa la Cesira
“No…no.. una sciocchezza, guardate Cesira l’acqua la vengo a bere dopo, ora vado da Adolfo….” le rispose Don Basilio e si dileguò in tutta fretta, temendo che intrattenendosi sarebbe stato sottoposto ad un terzo grado da parte dell’arzdora.
“Ajè anc Merigo con Adolfo…” gli urlò dietro la donna.
Infatti li trovò tutte e due nella stalla intenti a mettere a posto una posta di legno che si era ribaltata per le esuberanze di un vitellone ed anche il padre ed il figlio si girarono meravigliati quando videro il prete entrare nella stalla e poi lasciarsi con stanchezza cadere a sedere sul panchetto che usava la Cesira per mungere le mucche.
“Spero sia un buon vento che la porta Don Basilio, ci sono problemi?” gli chiese con una certa deferenza Adolfo.
“No, no nessun problema legato alla conduzione del podere. Sono passato da qua dopo essere andato alla Fame e alla Sete per sondare il terreno su chi intendono votare alle elezioni, ma sono stato trattato molto freddamente e anzi ci è mancato poco che su ai Serrettoni mi spedissero fuori a calci nel fondoschiena, tutti bolscevichi! Ma se ne accorgeranno se dovesse arrivare qui Baffone! Senza Dio!” esordì il sacerdote asciugandosi il sudore con un fazzolettone a fantasia rosso.
Amerigo sorrise e replicò: “E’ proprio questo il problema, la politica non si dovrebbe mai mischiare con la religione! Alla Fame e alla Sete poi hanno subito tante di quelle ingiustizie da parte di quella carogna del loro padrone che li sta sfruttando all’osso e che pretende di più di quello che, anche versando tutto il sudore della terra, quei calanchi sassosi possono produrre. Il figlio del padrone poi gli ha messo incinta anche la figlia e la Clelia poverina, dopo partorito, ha dovuto lasciare il bimbo alla madre ed andare a fare la serva a Bologna per mantenerlo … cosa volete pretendere? Ai Serrettoni poi mi meraviglio che vi siate solo fatto vedere, non vengono più in chiesa dopo che i repubblichini gli hanno fucilato ben due ragazzi che erano andati con i partigiani, li conoscevate anche voi Luigi e Dario, vi hanno fatto da chierichetti. Sono le ingiustizie e i soprusi Don Basilio che fanno cambiare le idee”
“Sta a vedere che mi state diventando bolscevico anche voi Amerigo!” disse sconsolato Don Basilio
“Don Basilio io amo la mia famiglia e adoro fare il contadino, però le ingiustizie e le prevaricazioni dei forti sui deboli “am fà prillèr i quaión” e scusi il linguaggio. Per l’educazione ricevuta sono credente cattolico, forse non sono arrivato ancora ad avere ideali bolscevichi come dite voi, ma solo per fortuna. Durante il periodo della guerra io e i miei fratelli eravamo troppo giovani per capire certe cose e, negli anni precedenti, la scuola ci aveva solo insegnato quello che faceva piacere al regime e come noi la maggior parte degli italiani. Grazie al cielo la nostra famiglia è stata fortunata perché non è stata colpita dagli orrori della guerra negli affetti più cari e, ancora grazie al cielo, come padrone abbiamo la Curia e voi come una sorta di fattore e quindi si trova sempre un accordo, il podere per posizione e terreno rende e non ci manca nulla, ma se fossi stato al posto di Marione della Fame o di Gisto della Sete o di quelli dei Serrettoni, forse sarei diventato comunista pure io sperando in un futuro di giustizia sociale in favore dei più deboli, avrei creduto però sempre in Gesù Cristo che poi in fin dei conti è stato anche condannato un po’ per le sue idee socialiste” replicò con calore Amerigo.
Adolfo stava ascoltando tutte e due e, approfittando di un momento di tregua si rivolse ad un attonito Don Basilio e disse:
“Don Basilio quello che dice Amerigo è in parte vero. Voi mi conoscete, sono un uomo tranquillo che ama la pace, perché sono convinto che la violenza, da qualsiasi parte provenga e per qualunque fine o ideale venga fatta, produce e richiama solo altra violenza.
Quando alla notte sentivamo bussare alla porta e si presentavano i ragazzi che si erano dati alla macchia gli ho sempre dato il mio pane, ma perché erano figli che avevano fame.
E’ una brutta cosa la guerra e soprattutto quello che avviene dopo la fine della guerra, perché si dà sfogo a quanto di più brutale può fare l’uomo in nome della rivincita e della vendetta. Una volta il vincitore radeva al suolo la città conquistata e sopra spargeva sale, non è molto diverso da quello che è stato fatto dagli Americani con le bombe atomiche in Giappone, quanti innocenti sono morti e quanti ne stanno morendo?
Qui da noi diciamolo pure dopo la fine della guerra abbiamo visto quello che è successo, c’è stata un’altra guerra civile tra fratelli che ha lasciato aperte tante ferite che probabilmente non si rimargineranno tanto facilmente.
Le dò un consiglio Don Basilio, un consiglio in amicizia, lasci perdere la campagna elettorale, che ognuno voti in ciò che crede, se qualcuno le viene a chiedere spontaneamente consiglio è un conto, ma questo andare ad elemosinare qualche voto le può solo produrre grandi delusioni!
In fin dei conti ora siamo in democrazia e sarà la maggioranza a decidere chi governa e dobbiamo rispettarlo e vedere cosa fa. Dovete avere cura delle anime, non delle coscienze politiche… e poi conosco tanti che come dite voi sono di fede comunista e poi non si perdono la processione della Madonna!”.
Don Basilio si alzò pensieroso, li salutò e se ne tornò verso la canonica non passando nemmeno dalla Cesira per il bicchiere d’acqua fresca e intanto diceva tra sé e sé: “Beh in fin dei conti poi Adolfo non ha tutti i torti, forse non sono adatto a fare questa cosa, vorrà dire che prima delle elezioni farò una bella predica a quelli che sono a Messa per ricordare il loro dovere di bravi cattolici… ma che Amerigo voti per il partito comunista? No..no .. penso proprio di no, ai vrev anc questa!”
Le elezioni si svolsero e nonostante l’accorata predica tenuta da Don Basilio, la Domenica precedente alla Messa delle 11, la coalizione di sinistra vinse.
Il suo amor proprio fu però in qualche modo consolato perché anche a Bologna il tentativo promosso dal Vescovo Lercaro, dopo una campagna elettorale assai accesa, era fallito e Dossetti aveva preso la decisione di abbandonare la politica e di scegliere in modo definito la vita religiosa lasciando il comando a Dozza.
Però la discussione avuta con Amerigo a cui sul momento non era riuscito a replicare gli stava ancora lì e non gli andava giù fino a quando agli inizi del mese di giugno non lesse sul giornale una notizia che riportava un rapporto del «New York Times»: in occasione del XX Congresso del Pcus tenutosi dal 14 al 25 febbraio di quell’anno il segretario Nikita Sergeevic Chruščev aveva denunciato i crimini commessi da Stalin criticando per la prima volta l’operato del padre della patria sovietica, naturalmente l’avvenimento avrebbe dovuto rimanere segreto, era il crollo di un mito come quello di Stalin e si poteva immaginare l’effetto dirompente che avrebbe avuto in seno al Partito comunista in quanto veniva minato il suo più importante fondamento ideologico.
“Ma guarda un po’ prima delle elezioni non hanno mica detto nulla!” esclamò Don Basilio e ritagliato il pezzo di giornale ritornò giù al podere dei Veggetti, dalla strada vide Amerigo che stava zappando la vigna e raggiuntolo gli spiegò davanti agli occhi il giornale e disse: “Guarda mò qui cosa ha fatto Baffone e lo ha denunciato il segretario del Pcus con una lista di accuse da pelle d’oca: arresti di massa e deportazioni di migliaia e migliaia di persone, esecuzioni di membri di partito arrestati e fucilati sulla base di accuse inventate, metà dei delegati presenti al XVII congresso del partito arrestata in seguito con l’accusa di crimini controrivoluzionari, intere popolazioni di karaciai, calmucchi e ceceni deportate, stessa sorte doveva toccare agli ucraini, ma essendo troppo numerosi non si era trovato un territorio abbastanza grande per deportarli.…e non si è saputo nulla fino ad ora, mò va là che i rossi lo sapevano già in campagna elettorale, ma se lo sono tenuto ben nascosto, se no le cose sarebbero andate diversamente!”
Amerigo lesse l’articolo, alzò gli occhi e guardando fisso Don Basilio commentò tranquillamente: “… cosa sta a dimostrare? Quello che le ho già detto reverendo, che tutte le dittature di qualsiasi colore esse siano sono una prevaricazione dei forti sui deboli, da questo avvenimento c’è da sperare un’unica cosa, che provocherà un terremoto talmente grande a livello mondiale che qualcosa dovrà pure cambiare? O no? Almeno fare ripensare a qualcosa di diverso? Ora basta politica, il sole sta per andare giù ed io devo finire di zappare la vigna!” e sputandosi sulle mani callose riprese il lavoro interrotto.
In fin dei conti la vita quotidiana in casa Veggetti continuava seguendo il ritmo delle stagioni e dei lavori agricoli, un po’ più aperta alle notizie del mondo grazie alla radio e alla televisione dell’osteria.
Quell’estate fu caratterizzata nel giro di qualche settimana da due eventi disastrosi.
Il 26 luglio il transatlantico Andrea Doria, considerato un gioiello dell’ingegneria navale italiana, diretto a New York viene speronato da una rompighiaccio svedese e nel giro di breve affonda, fortunatamente l’SOS viene raccolto da un transatlantico francese che porta in salvo i passeggeri ed l’equipaggio e quindi il bilancio è di sole quarantasei vittime.
Dato che le disgrazie non vengono mai sole a meno di due settimane dall’affondamento dell’Andrea Doria, succede una nuova e più grave tragedia.
L’8 agosto in Belgio nella miniera di Marcinelle scoppia un terribile incendio a 975 metri di profondità ed ogni tentativo di soccorso risulterà vano. Perderanno la vita 262 persone di cui ben 136 italiani, emigranti in cerca di lavoro che lo avevano trovato a Marcinelle grazie ad un accordo italo-belga che in cambio di manodopera impegnava l’Italia ad importare il carbone lì estratto.
Quando ascoltò questa notizia alla radio Adolfo si rabbuiò, l’Elide lo notò subito e chiese: “Adolfo cosa c’è che non va?”
“Due delle mie sorelle dopo sposate sono emigrate là, dopo che sono morti i vecchi abbiamo perso i contatti, chissà se le loro famiglie sono state coinvolte in questa brutta disgrazia, ma non so più niente di loro… non ho più nemmeno un indirizzo” rispose tristemente Adolfo.
Nei primi decenni del novecento la vita aveva spesso costretto alcuni componenti delle famiglie a disperdersi per il mondo per sottrarsi ad una vita grama e in cerca di fortuna e con il passare degli anni era inevitabile che spesso non ci si rivedesse più almeno in questo mondo.
Per fortuna che dopo queste cattive notizie ce ne fu una più allegra, almeno per gli altri e non per la diretta interessata…….
….. continua
Rita Ciampichetti, 2024
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