Papa Francesco – L’Omelia del card. Zuppi
2025/04/22, Vergato – La Domenica delle Palme con il Card. Zuppi a Vergato è ancora nel ricordo dei parrocchiani e dei vergatesi in generale, ora le parole pronunciate in occasine del ritorno alla Casa del Padre di papa Francesco.
Le parole dell’Arcivescovo nell’omelia pronunciata lunedì 21 aprile in Cattedrale, in occasione della Messa in suffragio celebrata per Papa Francesco.
Messa di suffragio per Papa Francesco
“Dio è un maestro di sorprese. Sempre ci sorprende, sempre ci aspetta. Noi arriviamo e Lui sta aspettando, sempre”, ripeteva spesso Papa Francesco. Lui, a sua volta, non ha fatto mancare sorprese, mai per stupire secondo la logica del mondo, ma solo per liberarsi dalla tentazione di conservare, che è perdere perché non si trasmette il tesoro che ci è affidato. Questa volta la sorpresa è per Papa Francesco e per noi, lui avvolto nella luce della Pasqua e noi lasciati solo con l’angelo che, in modo sbalorditivo, continua a dirci “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato”.
Davanti alla morte – unico fatto certo della vita – umanamente proviamo sempre il turbamento, un profondo dolore per lo strappo, un senso di sgomento. Quante persone ci hanno rivolto le condoglianze con una partecipazione di cuore, proprio come una persona cara, importante, presente, la cui assenza ci fa sentire tutti più soli, nelle tempeste del mondo ridotto ad ospedale da campo! Papa Francesco non ha nascosto la sua concreta umanità coprendola con l’ipocrisia e, proprio per questo, ha fatto risaltare la grazia di Dio alla quale si è sempre affidato. Si è donato fino alla fine, come ha voluto, senza risparmio e calcolo, senza convenienza, per andare incontro a tutti, per parlare a tutti, per benedire Urbi et Orbi tutti, per donare l’indulgenza plenaria e la forza della misericordia di Dio che sempre lo ha accompagnato, miserando atque eligendo.
Il duello prodigioso tra morte e vita continua perché la Resurrezione, lo sappiamo, non toglie il morire ma vince la morte. Proviamo umanamente sconcerto ma sempre anche, umanamente e spiritualmente, l’amore fino alla fine di Gesù che Dio, come abbiamo ascoltato, “ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni”. Come non leggere un segno della Provvidenza il fatto che la sua morte sia avvenuta proprio nel giorno di Pasqua, perché come sappiamo l’ottava è un unico giorno, giorno che non conosce tramonto, quando “vedranno il suo volto, non vi sarà più la notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole perché il Signore Dio li illuminerà” (Ap 22,5). Gesù ci invita ad andare in Galilea, il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! Siamo aiutati a “rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria”, a “rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio”, per uncammino che è sempre nuovo in quella strada che apre davanti a noi, ma che si apre solo secamminiamo. La Galilea è l’incontro con Cristo. Tutto è lì e sempre si rinnova, fino alla pienezza.
Noi oggi lo viviamo nella parzialità della nostra vita. Papa Francesco in cielo. In queste ore vediamo anche la larghezza della Chiesa, di quella piazza dove il mondo è abbracciato da lei che accoglie tutti e vuole raggiungere tutti, come il commovente giro di domenica per salutare e farsi salutare dalle persone. Ci stringiamo insieme e con noi sono in tanti che, in modi diversissimi, hanno tutti manifestato solidarietà, umana vicinanza, dispiacere, profonda condivisione. Persone legate tra loro da quello che, penso, sia un vero legame spirituale, l’appartenenza al Corpo di Cristo, i cui confini sono sempre tanto più grandi dei nostri, e a quel popolo di Fratelli tutti che ha cercato con pazienza, con la consapevolezza che possiamo e dobbiamo imparare a vivere uniti nella stessa casa comune. Ha voluto una Chiesa che abbatte i muri perché questi non difendono l’identità e, al contrario, la compromettono, riducendola a cittadella che si sente assediata e non combatte più il vero unico nemico, il male, il peccato, e ha voluto una Chiesa che ama teneramente il peccatore, come è ciascuno di noi.
Quel “Tutti” che Papa Francesco ha insegnato e ha vissuto, potremmo dire fisicamente, fino alla fine, perinde ac cadaver com’è caro alla spiritualità della Compagnia di Gesù, è quello che oggi vediamo stringersi attorno a lui e alla sua Chiesa. È un legame come lui ha sempre desiderato e vissuto: affettivo, mai impersonale o efficientistico, rispettoso, sporco della vita, senza filtri e paure nell’incontrare l’umanità e nell’entrare nelle case dei peccatori e sedersi a tavola con loro, anzi preoccupato di non sporcarsi le mani con l’umanità concreta del prossimo. Una Chiesa capace di parlare, con la semplicità evangelica che toccava il cuore dei piccoli, senza paura di farlo, e di farlo con tutti, non per piacere a tutti ma perché tutti sono suoi figli, per arrivare a tutti e tutti tenere insieme. E ci riusciva non facendo sconti, anzi, con esigente radicalità evangelica, morale e non moralista.
Papa Benedetto XVI nel suo ultimo discorso da Papa, conoscendo lo sconcerto di alcuni, ricordò a tutti la fiducia del cristiano: “La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto”. Papa Benedetto XVI per l’Anno della Fede, nel cinquantesimo anniversario dell’inizio del Vaticano II, aveva chiesto ai cristiani di mettersi in cammino nella desertificazione spirituale del nostro tempo, non giudicando ma capendo il bisogno umano, la sete di acqua proprio perché in luoghi resi aridi dall’individualismo c’è ancora più sete. Papa Francesco si è e ci ha messo in viaggio, fino alla fine.
“Uno riceve la vita proprio quando la dona”. Ha donato tutto per la Chiesa, la cui comunione ha presieduto nella carità, poliedro e non sfera, servizio per cui perdere la vita e non ufficio per interessi personali o di categoria. Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri, che non sono un oggetto di qualche attività filantropica, ma fratelli, anzi i primi fratelli e che, per questo, ha cercato e ci ha fatto cercare andando e spingendoci ad andare nelle periferie umane, per toccarli i poveri e farsi toccare da loro, per ascoltare la loro voce e dare voce a loro che non l’hanno, per ricordarli da vivi e salvargli la vita fisicamente nel mare di indifferenza in cui sono condannati, per sentire lo scandalo dell’ingiustizia che causa tanta terribile sofferenza. L’ultima visita fuori del Vaticano è stata nel carcere di Regina Coeli. È la passione per la pace che ha cercato in tutti sempre, per tutti e in tutti i modi mai rassegnandosi alla logica della guerra, che lo ha portato a condannare la guerra, la detenzione delle armi nucleari, il traffico delle armi, a chiedere a tutti di essere artigiani di pace, a praticare il dialogo, a baciare i piedi pur di ottenere l’impegno per la fine della violenza.
Ecco la Chiesa: gli “amati di Dio”; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Disse: “Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico”.
Chiesa comunità, famiglia, madre, non nido. Chiesa che non lascia solo nessuno, non narcisista non vittimista, non pessimista, non rassegnata, attenta alle tentazioni dello gnosticismo e del pelagianesimo, che non ha paura di cambiare per parlare al cuore delle persone. Insomma, una Chiesa madre, lieta, umile, disinteressata, beata, che è forte perché affronta gli scandali del proprio peccato chiamandoli col proprio nome, abusi, capendo e combattendo contro le cause, e non solo chiarirne le conseguenze. Una Chiesa che dobbiamo proteggereda ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro, pellegrina di speranza, audace nello Spirito e amabile, libera perché serva, maestra perché madre, che non deve compiacere ma essere vicina a tutti. Una Chiesa piena di diversità ma unita. Portiamo nel cuore le sue ultime parole, chiare, piene di consapevoli preoccupazioni, impegnative e sempre, come tutte, di tanta umanità. Ha guardato i segni dei tempi con coraggio perché li trasformiamo in segni di speranza.
Ieri, nel suo ultimo discorso, sognando a occhi aperti e chiedendo di cambiare questo mondo per renderlo secondo il progetto di Dio, ha detto: “Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti! In questo giorno vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio! Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile! Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana. Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma ad usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le armi della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!”.
Ringraziamo Dio per il dono di Papa Francesco, delle sue tante parole che hanno permesso un linguaggio condiviso da tanti, perché ha voluto una Chiesa povera e amica dei poveri, per la sua paterna e libera cura pastorale che ha animato tutte le sue scelte e che solo chi vive la compassione per la folla e la cura del prossimo può capire. Lo ringraziamo perché ha vissuto la misericordia del Padre che vuole la sua casa piena dei suoi figli che ama, e per i quali fa festa insegnando al fratello maggiore l’amore e la fraternità.
Caro Papa Francesco, ora senza che ce lo chiedi noi continueremo a pregare per te. Siamo certi che tu continuerai a pregare per noi, per la Chiesa, per il mondo, a cominciare sempre dai più piccoli. Nell’ultima Enciclica sul cuore, quello che hai sempre aiutato con tanta tenerezza e sensibilità a cercare e ad avere, concludevi con queste parole: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto” (DN 220). Amen.
Bologna, Cattedrale
21/04/2025