La direttissima Bologna – Firenze e la “Linea Madre” Porrettana. Storie di ferrovie 2°: La grande galleria
2019/10/01, Vergato – La storia della “Direttissima” e della ferrovia “Madre” la nostra Porrettana a puntate. Seconda puntata.
Dedicato agli amici ferrovieri, ai viaggiatori, agli amanti di storia locale e ai nostri giovani… Esce il mercoledì.
LA GRANDE GALLERIA (Ing. Vittorio De Martino)
L’opera maggiore della nuova linea è il traforo dell’Appennino. La Grande Galleria costituisce, come le consorelle nei massicci alpini, una delle più alte espressioni dell’ingegno e dell’ardire dell’uomo; per essa hanno lottato in generosa gara la ferma tenacia delle nostre maestranze, l’ingegno e l’accortezza dei dirigenti. Se nei confronti con i trafori alpini la tecnica moderna ha offerto nuovi e più potenti mezzi di lotta contro la montagna nel duro lavoro di scavo, sempre grandi sono state le difficoltà che si sono dovute superare in questo nuovo traforo; l’appennino si è difeso strenuamente all’attacco dell uomo con la natura franosa dei suoi terreni, costituiti da strati e banchi di arenaria ed interposti schisti argillosi ed argille scagliose, con eccezionali irruzioni di acqua e forti emanazioni di gas ad alte pressioni, con fuoco di vasta portata, dovuto all’accensione spontanea degli stessi gas.
Per accelerare il compimento dei lavori la galleria è stata attaccata, oltre che dagli imbocchi, anche da due attacchi intermedi. All’uopo sono stati costruiti due pozzi inclinati di circa 27° all’torizzonte, lunghi metri 570, ubicati a metà distanza dagli imbocchi della galleria, ed eseguiti notevoli impianti di macchine per la fornitura dell’energia e dei mezzi occorrenti agli scavi. Inoltre, poiché nelle immediate vicinanze dei cantieri non esistevano abitati sufficienti per ospitare un ingente massa di lavoratori che da ogni regione d’Italia convenivano sul posto, sono stati impiantati dei veri villaggi operai, nei quali, oltre agli alloggi per le maestranze e le loro famiglie, si è provveduto all’impianto di negozi e botteghe, di bagni, di sale di trattenimento, scuole e chiesa, per modo che l’operaio, oltre che le forze fisiche, potesse ritemprare in seno alla propria famiglia il suo spirito, dopo una giornata di intenso lavoro, trascorsa in mezzo a pericoli di ogni sorta.
Nel contempo è stata particolarmente curata la profilassi igienico-sanitaria nei villaggi, al fine di evitare il più possibile il propagarsi fra gli operai e le loro famiglie di malattie infettive, e specialmente del letale morbo detto dei minatori, che purtroppo trovava nel lavoro di perforazione della galleria dell’Appennino, per condizioni specifiche di ambiente e di temperatura, un facile mezzo per la sua diffusione.
Mercè tali efficaci e tempestive provvidenze si è potuto condurre tutti i lavori senza che alcun operaio sia stato colpito dal morbo, pur essendo la zona appenninica tosco-emiliana già da anni infestata da letale bacillo.
Le eccezionali infiltrazioni d’acqua hanno imposto agli operai non pochi sacrifizi, costringendoli a lavorare spesso sotto violenti scrosci di pioggia, in ambienti saturi di umidità. Si è dovuto spesso ridurre i periodi di lavoro da 8 a 6 ed anche a 4 ore e provvedere all’impianto di appositi essicatoi, nei quali i reduci dal lavoro lasciavano gli indumenti bagnati per riprenderne altri asciutti.
Non meno subdolo ed insidioso è stato l’altro nemico: il gas.
Questo era costituito in prevalenza da metano e nel resto da azoto, anidride carbonica ed idrocarburi e si è manifestato con emanazioni diffuse in tutte le fratture della roccia e talvolta in veri e propri getti abbondanti ed in pressione. Per lottare contro questo nemico è stata adottata l’illuminazione elettrica dei cantieri, l’accensione elettrica delle mine, la diluizione del gas mediante aria pura, l’uso di maschere e provveduto, infine, all’accensione, a brevi intervalli di tempo, del gas mediante accenditori elettrici.
Ma, contro la violenza di alcuni getti di gas, non sempre tutte queste provvidenze si sono manifestate efficaci: spesso si è stati costretti a sospendere, anche per mesi interi, i lavori, in attesa che le alte temperature formatesi nei cantieri e pericolose per la stessa vita degli operai diventassero sopportabili e consentissero un proficuo lavoro ; qualche volta, infine, inattesi, violenti scoppi hanno causato la perdita di generose vite umane.
A circa m. 5000 dall’imbocco nord una forte emanazione di gas bruciò intensamente per mesi ed impose la costruzione di un cunicolo laterale alla linea, per aggirare la zona devastata dal gas ed attaccarla anche dal rovescio e dai fianchi, al fine di domare l’intensità dell incendio.
Tuttavia, superando ogni difficoltà e trionfando di ogni avversa sorte, il 23 Dicembre 1928 si effettuò l’incontro delle avanzate procedenti dall’imbocco sud e dal pozzo N. 2: il 4 Dicembre 1929, nel giorno dedicato a Santa Barbara, la protettrice dei minatori, cadeva il diaframma fra gli attacchi procedenti dall’imbocco nord e dal pozzo N. 1. La parte più importante e più pericolosa dell’opera poteva dirsi terminata; alle due cerimonie svolte con stile e semplicità schiettamente fasciste parteciparono i Rappresentanti del Governo.
Continua mercoledì prossimo con…Gli impianti speciali.
Leggi le puntate precedenti; Nr. 1,
Tratto da; Supplemento speciale della Tecnica Professionale, pubblicato a cura del Collegio Nazionale degli Ingegneri Ferroviari Italiani col concorso dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. ANNO XII. Documentazione originale dall’archivio privato di Renzo Moschieri per gentile concessione.