Rita Ciampichetti – La Lastra del Diavolo: Sara in mano reggeva trionfante un altro registro dalla copertina nera…
2021/10/01, Vergato – La Lastra del Diavolo – quarta parte, un racconto di Rita Ciampichetti.
Ad alta voce proruppe in un liberatorio: “Sappi, chiunque tu sia che agisci nell’ombra, che Sara non si dà ancora per vinta perché con lei c’è la Luce”
Sara in mano reggeva trionfante un altro registro dalla copertina nera la cui etichetta un po’ rovinata incollata davanti riportava scritto in bella calligrafia: “Status Animarum – A.D. 1916” .
Se avesse avuto lì davanti il parroco di allora gli avrebbe gettato sconvenientemente le braccia al collo.
Gli Status Animarum o “stati delle anime” erano dei registri che dal 1600 i parroci erano tenuti a compilare regolarmente, dove venivano annotati non solo i dati anagrafici e religiosi dei parrocchiani, ma anche quelli economici quali le proprietà perché servivano per la determinazione della decima da versare alla propria Chiesa. Praticamente si potevano considerare una sorta di censimento organizzato della popolazione e, secondo la scrupolosità del parroco compilatore, potevano contenere informazioni di dettaglio utilissime.
Sara aveva in mano il censimento fatto nel 1916 e senza pensarci due volte lo infilò nella capace borsa per consultarlo con tutta calma a casa.
Uscì dalla canonica richiudendo a chiave la porta, salì in macchina e imboccò la ripida discesa che l’avrebbe portata sulla strada principale.
Le furono sufficienti alcuni secondi per accorgersi che i freni non funzionavano.
Con le marce e tirando il freno a mano cercò di rallentare la corsa dell’auto, ma in men che non si dica la macchina aveva già attraversato la strada principale e si era infilata nella rimessa della casa di fronte andandosi a fermare contro un muro di “ballini” di fieno che le crollarono addosso facendo scoppiare gli air-bag.
Dalla casa uscirono i proprietari con le mani nei capelli: avevano osservato tutto dalla finestra e soccorsero Sara che, per fortuna, tranne un po’ di contusioni non si era fatta nulla.
Sara non volle saperne di andare al Pronto Soccorso, dal momento che non si era rotta nessun osso, non aveva sbattuto la testa ma si sentiva solamente un po’ sconquassata stordita, chiese semplicemente di essere riaccompagnata a casa.
Quando fu al cospetto di Antenore e gli spiegò quello che era successo, lui tacque fino a quando il vicino non se ne fu andato, poi esplose in un crescendo di volume della voce:
“Sara io non ti capisco più! Questa doveva essere la settimana che venivi su a Casigno a darmi una mano così riuscivamo a finire finalmente gli ultimi lavori. Invece sono già giorni che mi lasci solo e spesso te ne vai via senza dire nemmeno dove, non rincasi, ti perdi nel buio, hai strani incidenti in macchina. Sinceramente non ho idea di cosa ti stia frullando per la testa, invece di essere un po’ concreta e con i piedi per terra… guarda quanto lavoro c’è ancora da fare qua attorno…..non finiremo mai”
Sara stanca e stressata ribatté con la stessa foga: “Lavoro, lavoro, lavoro… pensi solo ai lavori di questa casa che si sta mangiando i nostri risparmi.. e poi per cosa? Per lasciarla a chi?”
Quell’ “a chi” le era appena uscito dalla bocca che lo avrebbe voluto ringoiare.
Antenore la guardò con uno sguardo tristissimo, fece un lungo respiro e le disse: “Vado giù nel campo dove c’è segnale a telefonare ai Peri di Cereglio che vengano a prendere la macchina” e usci.
Sara rimase impalata dove era senza proferire parola.
Non avevano avuto figli, o meglio.. si erano sposati perché Sara era incinta.
Il momento non era dei migliori, lei vagava in giro a fare l’elemosina per qualche supplenza nelle scuole, lui lavorava con un contratto a termine, fatto sta che forse quell’esserino, percependo la difficile situazione, aveva preferito, dopo nemmeno un mese e mezzo, di “togliere il disturbo” assieme ad un ciclo più abbondante del solito non concedendole nemmeno l’emozione del primo movimento.
Erano giovani, i figli sarebbero venuti, ed invece no, nonostante la passione.
Antenore aveva detto: “Non siamo né i primi né gli ultimi, ci basteremo l’uno all’altro, è il destino”… che lei aveva accettato fino a quando una collega con tre anni più di lei, qualche mese fa, le aveva detto che era andata in menopausa.
Sara aveva 44 anni e non ci pensava ancora, ma quella parola pronunciata dalla collega, menopausa, che per lei avrebbe decretato la fine dell’eventuale possibilità di diventare mamma, dopo averla fortemente turbata aveva anche riacceso in lei un acuto desiderio di maternità.
Quella notte nemmeno la passione poté placare i loro animi irrequieti.
Il mattino seguente decise di starsene tranquilla a casa, anche perché si sentiva tutta indolenzita e poi, per giunta, ora si trovava anche appiedata.
Ne avrebbe approfittato per studiare il prezioso “Status Animarum”.
Fu facile perché il riferimento principale, per via delle decime, erano le proprietà e quindi bastava cercare Ca’ Nova.
La trovò velocemente e lesse con avidità i dati che le interessavano prendendo appunti:
Casa n° 12 – Cà Nova (propria)
Vitali Amilcare di anni 65 – Capofamiglia – Agricoltore
Verardi Zaira di anni 62 – Moglie – Casalinga proveniente da Rocca di Roffeno
Vitali Artemio di anni 40 – Figlio – Agricoltore
Dozzi Ersilia di anni 36 – Nuora – Casalinga proveniente da Razola
Vitali Maria di anni 17 – Nipote – Casalinga
Tot. = 5
Casa n° 12 – Ca’ Nova (d’affitto)
Lolli Bertino di anni 42 – Capofamiglia – Agricoltore
Dozzi Dolfina di anni 40 – Moglie – Casalinga proveniente da Razola
Lolli Vittorio di anni 19 – Figlio – Agricoltore
Lolli Adelfo di anni 17 – Figlio – Agricoltore
Lolli Giuseppe di anni 15 – Figlio – Agricoltore
Lolli Teresa di anni 13 – Figlia – Casalinga
Lolli Ultimina di anni 6 – Figlia – Casalinga
Tot. = 7
Li aveva rintracciati! I dati tornavano con quanto riportato da Mariuccia.
Evidentemente la Cà Nova era di proprietà dei Vitali, mente i Lolli erano in affitto, ma imparentati fra loro per via che la Dolfina e l’Ersilia erano sorelle. La somma dei totali degli abitanti della casa tornava, dodici.
Mentre ragionava così sentì la voce di Antenore che rientrava in casa con qualcuno, per scrupolo nascose tutto dentro la borsa porta documenti appena in tempo perché suo marito entrò con Nello che premurosamente le chiese come stava.
“Grazie, sto bene, però mi piacerebbe sapere chi ha manomesso i freni della macchina che qualche ora prima andava benissimo. Nello, le restituisco le chiavi che mi ha dato, però mi tolga una curiosità. Chi, oltre a lei, può essere in possesso delle chiavi della chiesa e della canonica qui a Casigno?”
Nello rispose immediatamente: “Raflen dal Rès è sempre stato il sagrestano, conosce ogni angolo di quegli edifici, ci ha trascorso gran parte della sua vita, quando ancora avevamo il privilegio di avere un parroco tutto nostro”
“Senti Sara, Nello è così gentile da accompagnarmi in auto a Cereglio dai Peri per sentire come è messa la macchina, ma fino a quando non è riparata, mi dispiace per te, ma ci tocca rimanere qua. Quindi mi raccomando, per oggi fammi il santissimo favore di non muoverti da casa!” le comunicò Antenore con una certa freddezza.
“Non ti preoccupare, va bene così” rispose telegraficamente Sara.
Aspettò che partissero.
Era indolenzita alle spalle, ma ancora in grado di camminare ed era troppo ghiotta l’occasione dell’assenza di Antenore per non approfittarne.
Sprangò la porta e prese la direzione del Raso, portandosi dietro gli appunti.
Arrivò alla casa di Raflen che non era come al solito seduto fuori sulla soglia, guardò all’interno attraverso una finestrina senza tende con i vetri appannati da anni di intemperie e polvere e lo intravide seduto davanti al camino acceso con un toscano spento tra i denti.
Si fece coraggio è bussò alla porta. “Avanti, amico o nemico che tu sia!!” rispose burbero Raflen.
L’ambiente che le si presentò davanti sembrava più un “caniccio” che una cucina ed aveva pure il tipico odore, acre per le annose fumate di fuochi e toscani, le pareti annerite, i pavimenti luridi, pile di capi di abbigliamento ed altre cianfrusaglie variamente assortite sulle sedie, piatti sporchi nel lavello di graniglia sotto la finestra, un piatto con un avanzo di minestra sul tavolo sopra al quale giravano due o tre mosche impazzite.
Raflen si voltò, la guardò di sotto in su e l’aggredì: “Che ci fai qui cittadina ficcanaso che non sei altro? Non demordi vero nella caccia? Ma lo sai che spesso è il cacciatore a rimetterci le penne?” e fece una risata sgangherata.
Sara lo guardò fisso negli occhi e rispose “Dove avete messo i registri?”
“Che registri? Io non so nulla, non voglio sapere nulla….. vattene da questo posto dove i segreti rimangono sepolti per anni, ma c’è sempre un guardiano del cimitero. Vattene fino a quando sei in tempo e non ti interessare più!
Lo conosci vero il proverbio che dice che “chi muore giace e chi vive si dà pace” le rispose il vecchio
Sara guardandolo fisso negli occhi disse: “E quando invece è proprio chi è morto che non si dà pace?” e dopo un lungo sospiro proseguì.
“Raflin voi sapete cosa è successo in quegli anni. Lo so che non eravate ancora nato, però sento che nonostante l’età qualcuno ve lo ha raccontato. Suvvia, in una frazione minuscola come questa che allora avrà contato poche famiglie, dove si condivideva tutto, dove ci si aiutava uno con l’altro per i lavori agricoli, le notizie viaggiavano di bocca in bocca. Ditemi quello che sapete, perché nonostante tutto, quando mi ci metto sò essere caparbia e anche senza il vostro aiuto, anzi con i bastoni che mi mettete tra le ruote e non lo dico a caso, sono arrivata a ricostruire questo” e gli schiaffò sotto il naso gli appunti.
Il vecchio prese il foglio, lo lesse, guardò Sara e le disse: “Ti avevo sottovalutata cittadina ficcanaso… ci sai fare… ma se non trovi nessuno che ti dà altre dritte rimani al palo e con questo foglio ti ci puoi spazzare il culo!” e glielo restituì sgarbatamente.
“Ed è per questo che sono venuta da voi” replicò Sara, quindi con decisione spostò una sedia da sotto il tavolo, tolse la roba che era arrotolata sopra e si sedette.
Tacquero un pezzo, guardandosi reciprocamente negli occhi, la tensione si palpava nell’aria anche se le mosche continuavano a ronzare indifferenti sopra di loro.
“Lo vuoi un bicchiere di vino?” le chiese Raflen rompendo finalmente quel silenzio.
“Se me lo offrite sinceramente, volentieri” rispose con un accenno di gentilezza Sara.
Raflen aprì i vetri di una vecchissima credenza, tirò fuori due bicchieri un po’ unti, li spazzò con uno straccio altrettanto unto, prese un fiasco e li riempì con un vino nero.
Un bicchiere lo spinse verso Sara l’altro lo alzò in alto e disse: “Salute!!” e lo tracannò in un fiato. Poi fece un lungo sospiro, prese un stecco infuocato dal camino e accese il toscano spento in bocca, tirò lunghe boccate fino a quando non fu acceso per bene e, appoggiato un braccio sulla mensola del camino dandole le spalle e fissando il fuoco, iniziò a ricordare.
“Hai ragione, io allora non c’ero… non ero ancora nato… Sono del ’40 o giù di lì, però c’era mia madre. Non è vero che a Casigno vi erano solo qualche decina di famiglie, era molto più popolato rispetto ad oggi, c’era il prete, la scuola, nessuna casa abbandonata e c’era l’osteria, qui al Raso, dove alla sera si trovavano gli uomini a giocare a briscola e tresette e di nascosto a bassetta…. e a bere un bicchiere di vino per mandare giù la polvere respirata durante il giorno a lavorare la terra. C’era anche la bottega, quelle di una volta dove trovavi tutto, dallo zucchero al carburo o petrolio per le lampade, dalle spille da balia al cotone e lì, al giorno, c’era il ritrovo delle donne. Quindi chiacchere ne circolavano a volontà.
Mia mamma, in quegli anni era la figlia tredicenne dei proprietari dell’osteria e della bottega e girando attorno ai tavoli alla sera per portare i quartini di vino o dietro il bancone di giorno a fare i cartocci da mezzo chilo di zucchero, ne ha sentiti parecchi di pettegolezzi. Era anche amica della Maria della Ca’ Nova che chiamavano tutti la Mariuccia e sapeva di questi suoi incontri segreti a Bocca d’Re o alla Lastra del Diavolo con Giovannino della Pianella di Labante. Si ricordava pure la disperazione della Mariuccia quando quel giorno Giovannino non si presentò al solito appuntamento.
Il 1917 e il 1918 furono anni neri per quelli della Ca’ Nova, arrivò la Spagnola e si portò via tutta la famiglia Vitali tranne i nonni che però morirono pochi anni dopo. Anche tra i Lolli ci furono morti. Vittorio non morì di spagnola, ma risultò disperso al fronte nella dodicesima battaglia dell’Isonzo nella rotta di Caporetto nel novembre del 1917 dopo poco che era rientrato da una licenza a casa. La stranezza però è che nella lapide commemorativa dei caduti della Grande Guerra fuori dalla chiesa il suo nome non è riportato.
L’aspetto invece tristissimo e che mia madre non si riusciva a togliere dalla testa anche da vecchia è quello che si bisbigliava la chiacchera che al culmine della malattia, squassata dalla tosse, prima di morire, Mariuccia abortì. La famiglia cercò di tenere nascosto tutto.
Per quanto riguarda Giovannino aveva sempre sbandierato ai quattro venti che piuttosto disertava, ma la guerra non l’avrebbe fatta. Quindi quando sparì lo cercarono per un po’, poi venne fuori anche lì la chiacchera che era andato a Genova e si era imbarcato come clandestino su un bastimento in partenza per l’America. Mia madre invece aveva sempre sostenuto che se invece di cercare lontano avessero scavato vicino forse lo avrebbero trovato. Ecco quello che ricordo. Fanne l’uso che credi, ma non tirarmi più in mezzo. Le ossa che escono dagli armadi fanno un rumore infernale anche dopo cento anni!”
Sara si alzò dalla sedia, prese il suo bicchiere di vino, lo alzò verso Raflen e disse “Salute e… grazie!”, lo tracannò in un fiato e se ne andò.
Arrivò a casa prima di Antenore e si fece trovare sul divano con un plaid addosso come se non si fosse mai mossa da lì.
Antenore entrò nella stanza furiosamente con la faccia sconvolta, le andò vicino, le prese le mani e le chiese con ansia: “Mi dici cosa sta succedendo? Peri mi ha detto che i freni sono stati manomessi, qualcuno ha cercato di farti male capisci?” Sara lo guardò e rispose: “Sto cercando un ragazzo che manca da casa da circa cento anni. E’ ormai tempo di farlo ritornare.
Rita Ciampichetti